La ripida strada che dall’arco di San Francesco scende parallela a via delle Vergini porta il nome di via dei Baroncelli e nasce, verosimilmente, come camminamento interno della cinta muraria che dalla valle di Follonica risaliva fino all’arco medesimo (anticamente porta dei Frati Minori). L’ipotesi più immediata sull’origine di questo toponimo potrebbe far pensare alla presenza in questa zona di edifici di proprietà della famiglia Baroncelli, che a lungo fece parte dell’élite di potere cittadina e che a sentire Girolamo Gigli era originaria della Provenza. Tale spiegazione, però, deve fare i conti con una constatazione ben precisa: gli edifici dei Baroncelli, per i secoli a cavallo tra il medioevo e la prima età moderna, sono attestati in tutt’altra parte della città: tra Castelvecchio e Stalloreggi. Dunque l’origine del nome può forse attingere ad una diversa ragione. Lungo questa via si trovava l’oratorio della Compagnia Laicale di Sant’Anna dei Ciechi e Stroppiati, fondata nel 1610 da un tal Bernardino Guidi, “uno stroppiato della provincia di Provenza, venuto molt’anni avanti ad abitare in Siena in questa Contrada”, allo scopo di assistere proprio tutte quelle persone che oltre a vivere in povertà avevano gravi handicap fisici. La chiesetta, che tra l’altro fu officiata, seppur per un breve periodo, dalla Contrada della Giraffa (nel 1780 l’acquistò per 175 scudi) si trovava sulla sinistra salendo via dei Baroncelli, proprio sotto il vicolo della Viola. La chiesa venne abbandonata dalla Contrada già nel 1791 perché ritenuta troppo angusta e fu completamente demolita nel 1824. La presenza della Compagnia Laicale, tuttavia, potrebbe aver indotto il nome della via: dando assistenza a ciechi e storpi, infatti, lungo la strada è verosimile che si ritrovassero numerosi mutilati che, come la stragrande maggioranza di questi infelici faceva ovunque, chiedeva l’elemosina. Ed é bene ricordare che in questi secoli il termine “barone” non indica soltanto un nobile titolato ma, altrettanto, gli straccioni e i ribaldi. Chi ricorda il ritorno di don Abbondio e di Perpetua nella loro casa saccheggiata dai soldati, ricorda anche che il Manzoni mette in bocca ai due personaggi due esclamazioni: “ah, porci!” grida la plebea Perpetua; “ah, baroni!” gli fa eco il curato, più sorvegliato nel linguaggio, ma tutte e due esprimono un identico concetto. E ancora: fra le più famose incisioni del francese Jacques Callot (1593 ca. – 1635) si ritrovano le immagini di poveri e straccioni. Ebbene, uno di questi figuri, rappresentato come uno storpio, mezzo guercio e dall’aspetto ripugnante, porta in spalla proprio una bandiera stracciata che lo qualifica come “capitano dei baroni”. Personaggi come questi dovevano essere di casa in questa strada, che verosimilmente trasse il suo nome dalla loro presenza, non a caso attestato solo con lo stradario del 1789.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti