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Vicolo Beato Pier Pettinaio: il venditore di pettini

Il vicolo dedicato al beato Pier Pettinaio unisce Banchi di Sopra e via dei Termini e la sua intitolazione risale al 1871. Pietro Tecelano (conosciuto a tutti come Pier Pettinaio come lo chiama Dante nella Divina Commedia (Prg. XIII, 128) nasce nella prima metà del Duecento a Campi, un villaggio del Chianti vicino a Siena. Figlio di artigiani, è in città che impara ben presto il mestiere della fabbricazione dei pettini, e al commercio di questi oggetti d’osso e di corno si dedicherà per tutta la vita.
La sua piazza principale era Pisa, porto di mare e quindi emporio di traffici. Qui Pietro commerciava senza, però, inseguire facili ricchezze: cercava, anche nel commercio, la pace della coscienza. Esaminava con grande scrupolo i suoi pettini, prima di venderli, eliminando tutti quelli che non erano fatti a regola d’arte e per essere sicuro che gli articoli scartati non fossero di nuovo immessi nel mercato si dice che li gettasse nelle acque dell’Arno.
Pier Pettinaio non voleva essere moralmente colpevole di inganno verso il prossimo vendendo come buoni oggetti malfatti e riteneva che gli affari migliori fossero quelli fondati sulla fiducia e sulla correttezza.
All’integrità professionale, Pietro Tecelano univa l’integrità della vita privata. Era terziario francescano e in ogni attività e in ogni circostanza trovava occasione di maggior perfezione, soprattutto tramite la preghiera e la carità. Sposato, santificò il proprio matrimonio; restato vedovo e senza figli, distribuì i suoi averi ai poveri e si ritirò presso il convento di Frati Minori, a Siena.
Fu favorito da doni profetici e miracolosi; operò guarigioni e conversioni; fu infaticabile pellegrino nei luoghi francescani, finché non lo fermò una dolorosa malattia, accettata con serena rassegnazione. E Dante, a pochi anni dalla sua morte avvenuta nel 1289, testimonia la fama della sua santità, confermata da Pio VII che gli riconobbe il titolo di Beato. Nella Divina Commedia Pier Pettinaio è colui che pregando per l’anima di Sapìa, pentita, la fa collocare da Dante nel Purgatorio piuttosto che nel ben più lugubre Inferno.

di Maura Martellucci e Roberto Cresti

Tilde Randazzo

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