Vicolo del Vannello unisce via del Porrione con Salicotto.
Il vicolo del Vannello ricorda probabilmente un Vannello cuoiaio che nel Trecento viveva e lavorava in questa strada. Un documento del 23 agosto 1348 testimonia per la prima volta questo toponimo: nell’atto di compravendita di una casa si legge che questa è ubicata nel “Popolo di San Giusto e Terzo di San Martino in Contrada detta il chiasso di Vannello Cuoiajo, confinante con Marco di Mangone e con la Strada” (del Porrione). Vannello si soprannominò anche Francesco di Giovanni Pinocci, risieduto nel Concistoro come rappresentante del Monte del Popolo per il Terzo di San Martino nel 1399. La famiglia Pinocci possedeva il palazzo a capo del chiasso del Vannello, che tenne fino al 1692, anno della sua estinzione, quando passò in proprietà ai Sansedoni. Interessante notare che nel vicolo abitarono in tempi diversi vari personaggi denominati “di Vannello”, ed é difficile capire se si tratti di discendenti del cuoiaio, che dunque dimoravano lì perché c’era la loro residenza di famiglia, oppure se era la strada a trasferire il proprio nome a chi vi abitava, come soleva allora per le contrade d’appartenenza. Fatto sta che nel 1453, Cristofano di Bartolomeo di Vannello vende per 300 fiorini a Goro di Francesco Gori l’albergo della Campana di fronte alla prigione.
Nello stradario del 1789 il chiasso del Vannello viene detto anche “delle Sperse”, con evidente riferimento all’ospizio delle fanciulle senza casa e famiglia che nel Seicento aveva sede in fondo al vicolo e che appoggiò la Contrada della Torre nella sua lotta contro le prostitute. Il Conservatorio delle Sperse, o Bianche, era stato fondato nel 1626 da don Onofrio de Vecchi per ospitare tutte le ragazze orfane che elemosinavano per la strada, e dopo essere stato al Santuccio e presso la chiesa di San Giorgio, proprio nel 1629 trovò sistemazione nel Vannello.
Un’altra curiosità che merita di essere sottolineata riguardo a questo vicolo, che peraltro permette di individuare un nome antico ed inedito dello stesso, concerne la sua originaria funzione: il percorso del chiasso, infatti, coincise con la “cavina di Salicotto”, tanto menzionata dalle carte medievali, quanto di ardua individuazione per gli studiosi. Con il termine “cavina” s’intendeva un canale nel quale si faceva defluire l’acqua piovana, sfruttando la pendenza del terreno, tant’è che quelle più note si localizzavano in Fontebranda, Vallerozzi, San Giorgio e appunto Salicotto, e spesso succedeva che alcune vie urbane fossero costruite sul tracciato di qualche precedente canale di scolo, come nel caso in esame. Nonostante la cautela di alcuni autori, che la cavina di Salicotto corrisponda al vicolo del Vannello è provato dallo Statuto dei Viari (1290-1299), il quale parlando della via che dal canto Magalotti giunge fino al piano di Salicotto, senz’altro da riconoscere nel nostro chiasso, la definisce viam de cavina . Nel 1365, addirittura, si specificano le sue dimensioni, caso più unico che raro: era lunga sedici braccia (circa 9 metri e mezzo) ma soprattutto aveva una larghezza di sei braccia (circa tre metri e mezzo), davvero troppo per quello che era un semplice chiasso realizzato sul tracciato di un precedente canale di scolo; probabile che in questo caso sia stato allargato, perché vicoli così angusti rappresentavano un pericolo pressoché quotidiano nelle città medievali.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti