Il vicolo della Stufa si diparte da via Duprè, e dopo aver oltrepassato un arcone e un paio di archetti scende, grazie ad alcuni scalini, in una specie di corte attorniata da edifici, risultando così senza sfondo. Il suo nome è attestato sin dal “Campione” del Fantastici (1789) e viene poi confermato negli stradari successivi. Proprio leggendo questi ultimi si evince che fino al tardo Ottocento il vicolo non era senza sfondo e sfociava in una stradina sottostante, detta via dei Palazzetti, che da poco sotto la chiesa di San Giuseppe precipitava verso il Mercato passando sul retro delle abitazioni di via Duprè. Il nome di questa via, oggi non più esistente, è dovuto al fatto che raggiungeva i cosiddetti “palazzetti”, riconoscibili nei fabbricati a lato di via di Porta Giustizia, oggi ristrutturati e destinati a civile abitazione, che in passato ospitavano delle fornaci.
Proprio l’essere in prossimità di questi opifici ha fatto pensare che il nome del nostro vicolo derivasse da essi, ma in realtà la spiegazione è un’altra. Proprio a fianco del vicolo doveva trovarsi una “stufa”, termine con cui in età medievale si intendeva uno spazio, spesso uno stanzone di dimensione variabile, posto all’interno dei bagni pubblici (“balnea”), dove le persone si recavano per lavarsi. Queste strutture, che in parte ricordano le terme romane, erano dotate di vasche riempite con acqua riscaldata dal fuoco a legna e appunto di “stufe”, simili alle nostre saune. Diffusissimi a partire dal XII secolo in tutta Europa, e assai frequentati, all’inizio i bagni pubblici erano aperti a persone di entrambi i sessi e di ogni età, che si immergevano insieme completamente nudi. Prassi discutibile non solo sotto l’aspetto sanitario (tant’è che prima la peste del 1348 e poi la sifilide del secolo seguente decretarono la chiusura di moltissime), ma soprattutto perché i bagni e le stufe si trasformarono non di rado in una sorta di case di tolleranza, dove lavoravano giovani ragazze “disponibili” non solo a tagliare i capelli o a radere barbe. Tra fine XV e inizio XVI secolo la maggior parte delle “stufe” scomparve, con i medici del tempo sempre più convinti che fosse l’acqua stessa ad essere pericolosa per la salute e che andasse usata con moderazione! Ma a Siena questi bagni dovettero sopravvivere se ancora nel Seicento se ne trova traccia nei documenti. Addirittura nei registri della Contrada dell’Onda del periodo 1632-1666, viene menzionato più volte un certo Stefano Patriarchi qualificato come “stufaiolo”, ossia inserviente presso la “stufa”, lavoro che non doveva essere troppo fruttuoso, essendo tassato con una bassissima quota d’imposta. Una mappa di inizio Ottocento, poi, indica con il nome di “Bagni” l’intero corpo di fabbrica tra il vicolo della Stufa e il soprastante vicoletto, oggi senza nome, ubicato nel tratto in salita di via Duprè, che allora sfociava anch’esso nella via dei Palazzetti. L’acqua dei “Bagni” proveniva dal ramo del bottino di Fontegaia che alimenta la fonte del Casato. Quasi sempre carente del prezioso liquido, nel corso dell’Ottocento il gestore dei bagni pubblici di via Duprè rivolse svariate lamentele al Comune perché costretto a rifornire lo stabilimento con i barili. E’ probabile che questi bagni siano stati chiusi dopo l’inaugurazione del “modernissimo” “stabilimento balneare” realizzato in viale Tozzi tra il 1907 e il 1912.
di Maura Martellucci e Roberto Cresti