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Vicolo delle Scotte: la strada dai molti significati

Il Vicolo delle Scotte unisce via del Porrione con via di Salicotto. Sul nome “Scotte” sono state fatte varie congetture. Alcuni sostengono che il toponimo sia legato alla presenza ebraica e, precisamente, alla festa del “succoth” o “festa della Capanna”: il termine, “senesizzato” avrebbe così originato il nome “scotte”. Il Succoth, che oggi si celebra all’interno della sinagoga, posta proprio nel vicolo, è una festa autunnale della durata di otto giorni, in ricordo della sosta degli Ebrei nel deserto del Sinai durante la fuga dall’Egitto. Per altri il toponimo sembra avere un’etimologia completamente diversa: il vocabolo “scotta” potrebbe derivare dal germanico “skulk” e indica la presenza di un posto di guardia armato a difesa di una strada, la cosiddetta “skulka”, come nel caso dell’omonima località presso Vico Alto, che oggi presta il nome all’Ospedale della città. In altri casi, però, il termine “scotta”, ottenuto dall’incrocio del vocabolo latino “sculca” con il tipo “scolta”, assume un significato ancora diverso: in particolare a Siena con la voce dialettale “scotta” viene indicata una ragazza o una cornacchia, e pertanto il vicolo delle Scotte é, alla lettera, nient’altro che il chiasso delle ragazze, dove risiedono tante giovani donne, e considerando la zona dove si ubica, piena di postriboli fin dal Medioevo, non è complicato capire quale mestiere possano praticare. La denominazione, peraltro, è piuttosto antica, visto che “il chiasso che vulgarmente si chiama delle Scotte” viene già citato in un documento del 1467. La presenza di prostitute è attesta, infatti, fino all’istituzione del ghetto ebraico (nel 1572) che si estendeva tra i vicoli delle Scotte e quello di Coda, escluso, comprendendo perciò il vicolo del Luparello, il vicolo degli Archi, il vicolo della Manna e il vicolo della Fortuna. La costruzione della sinagoga risale solo al 1756 (edificata su progetto dell’architetto Giuseppe del Rosso, deve la veste odierna al restauro del 1902).

 

di Maura Martellucci e Roberto Cresti 

Tilde Randazzo

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