Vittorio Meoni e una Repubblica da difendere

La memoria storica di Vittorio Meoni ci aiuta a fare un parallelo tra il referendum del 2 giugno 1946, che sancì la nascita della Repubblica, e quello del prossimo ottobre sulla riforma costituzionale.

70 anni fa il popolo italiano scelse di diventare Repubblica tramite un referendum. Nel senese questa scelta fu ancora più netta, con la Monarchia che prese solo il 23,9%. Fu il primo passaggio politico che vide protagonisti gli italiani dopo tanti anni di dittatura. Quel 2 giugno 1946 anche mani femminili poterono inserire la scheda elettorale nell’urna, mentre prima di allora le donne erano state escluse dal corpo elettorale.

70 anni dopo parliamo ancora di un referendum, quello di ottobre prossimo sulla modifica della Costituzione.

Vittorio Meoni, partigiano scampato all’eccidio di Montemaggio, ci ha raccontato come nacque la Repubblica e come, secondo lui, potremmo difenderla. Proprio stamattina a Meoni è stata consegnata la medaglia della Liberazione.

70 anni fa l’Italia scelse di diventare una Repubblica. Lei come visse quel giorno? Dov’era?
«Ero a Colle Val d’Elsa, alla sezione del Partito Comunista ad aspettare i risultati. Alla proclamazione della vittoria della Repubblica ci fu una manifestazione».

Eravate sicuri che avrebbe vinto la Repubblica? C’era tensione?
«Noi vivevamo in una zona in cui eravamo abbastanza sicuri che avrebbe vinto la Repubblica. Però il risultato nel resto d’Italia non è che fosse scontato. C’era quindi la tensione dell’attesa dell’esito del referendum. Nei giorni seguenti, visto che sembrava che stessero per mettere in discussione il risultato, l’irrequietezza salì fino a quando la Repubblica non fu proclamata».

Ha avuto parenti o amici che in quell’occasione votarono per la Monarchia?
«Mi pare di no. Fra i miei parenti sicuramente no, perché avevo un nonno materno che era un vecchio “garibaldino”, da sempre repubblicano. Un altro nonno era stato assessore nella prima giunta socialista di Colle Val d’Elsa, alla fine degli anni ’90 dell’’800. Mio padre poi era un antifascista, che nel ’33 era stato costretto a iscriversi al Partito del Duce per non perdere il lavoro da insegnante. Anche fra i miei conoscenti non ho ricordo di persone che avessero votato per la Monarchia».

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Vittorio Meoni

A ottobre prossimo ci sarà un altro referendum, quello per la modifica della Costituzione. Lei cosa ne pensa?
«La mia idea è semplicemente questa: la Costituzione meno si tocca e meglio è. Con il passare degli anni qualcosa, ovviamente, non può che essere modificato. Penso però che debba essere fatto sulla seconda parte, quella istituzionale. La parte dei princìpi è ancora valida. E’ una Costituzione che ha sì tanti anni ma che si dimostra molto attuale».

Lei riceverà fra poche ore (l’intervista è stata fatta ieri, ndr) la Medaglia della Liberazione. Cosa significa per lei questo riconoscimento?
«E’ un attestato di una militanza, di una presenza che allora fu importante. Sembrerebbe oggi che certe scelte fossero scontate, ma allora non lo erano».

Dopo 70 anni dalla nascita della Repubblica come vede l’Italia?
«Mah, luci e ombre. Il giudizio dovrebbe essere molto articolato».

Ai giovani italiani che cosa vorrebbe dire?
«Ci sarebbero molte cose da dire loro. Ogni generazione fa le proprie esperienze e guarda criticamente il passato. Quello che mi sentirei di suggerire ai giovani italiani di oggi è che i princìpi che hanno consentito la nascita di questa Repubblica democratica dovrebbero essere salvaguardati. Non hanno un valore transitorio».

Secondo lei ci stiamo scordando di questi princìpi?
«Per noi della vecchia generazione sono ancora vivi e ci ricordiamo di come siamo arrivati alla Costituzione. Fra le generazioni successive alla mia non lo so quanto la Carta sia conosciuta e apprezzata».

Emilio Mariotti