Al Nord si lavora in media 255 giorni all’anno contro i 228 del Sud.
Quale lettura dare al dato per inquadrare il mercato del lavoro di oggi e comprendere le disuguaglianze ancora presenti, da rimuovere?
Non si tratta certo di una differenza legata alla volontà individuale. Le ragioni reali sono da rintracciare, invece, in primo luogo in una maggiore presenza di economia sommersa al Sud che non consente di conteggiare esattamente le ore effettive di lavoro, escludendo quelle irregolari. In secondo luogo, nel Mezzogiorno c’è maggiore presenza di precarietà, part time involontario, lavoratori stagionali; minore continuità e stabilità, quindi, delle condizioni occupazionali in genere.
L’aspetto, importante, da sottolineare è che ciò si riflette sulla paga salariale. I numeri riportati dalla CGIA evidenziano che, nel 2023, la retribuzione media giornaliera nel Nord era pari a 104 euro lordi. Con una differenza di ben 27 euro in più, che sui 77 attribuiti al Sud, significa un 35%.
Di differenze salariali se ne parla da moltissimo tempo, eppure tale divario, anziché diminuire, si è allargato ancora negli ultimi decenni, a causa di una diversa tipologia di imprese presenti al Nord, come multinazionali, utilities, società finanziarie, assicurative e bancarie, che pagano di più e sono in grado di occupare ruoli apicali e lavoratori con qualifiche elevate.
Se fosse la retribuzione il criterio di scelta per decidere dove vivere, in Italia, in media, si guadagna di più a Milano, Monza-Brianza e Parma. Meno a Trapani, Cosenza e Nuoro. La differenza salariale annuale tra Milano e Trapani è di 19.489 €. Capiamo che il confronto non lascia spazio all’immaginazione: il divario è davvero significativo. Addirittura, chi ha lavorato a Vibo Valencia ha guadagnato solo 13.388 euro annui, contro la media italiana di 23.662 euro.
La combinazione tra minori ore potenziali di lavoro e differenza salariale è, dunque, la chiave per comprendere la dimensione del fenomeno.
Guardando ai dati sulle retribuzioni medie lorde per provincia di lavoro, Siena, la città in cui vivo è al 37° posto per provincia su 107, con 23.055 euro di retribuzione media annua; 249,6 come numero medio di giornate retribuite e 92,39 € come retribuzione media giornaliera (classifica completa disponibile sul sito della CGIA di Mestre).
È indubbio che lavoro e retribuzione sono determinanti per decidere dove vivere, pur se non rappresentano l’unico criterio di scelta.
Ma, guardando ai numeri, si intuisce una geografia di vita completamente diversa da provincia a provincia.
Quanto questo condizionerà le nuove generazioni negli spostamenti all’interno dell’Italia, ma anche verso l’estero, è un tema di riflessione da tenere sotto controllo.
Il permanere di diversità tanto accentuate comporterà ancora spopolamento e desertificazione di alcune zone del nostro Paese, con conseguente mancanza dei servizi essenziali quali ospedali, scuole, mezzi di trasporto. Fenomeno al quale si lega il declino demografico in corso. Una serie di elementi che creano un circolo vizioso sempre più radicato, con meno giovani, meno occupazione, meno capitale umano per favorire la crescita economica in alcune zone che invecchiano anagraficamente, senza possibilità di ricambio generazionale. Capita sempre più spesso di leggere di comuni che offrono incentivi per chi si trasferisce e crea o rileva un’attività.
Basterà per cambiare il fenomeno?
Maria Luisa Visione
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