European flags in front of the Berlaymont building, headquarters of the European commission in Brussels.
A un passo dai 60 anni di vita dell’atto di nascita dei Trattati di Roma, che il 25 marzo 1957 siglavano la determinazione a costruire un mercato comune in Europa e un’unione sempre più stretta tra i popoli europei, molte contraddizioni emergono oggi. Contraddizioni che si esprimono in numeri economici, sui quali diverse possono essere le interpretazioni.
Il settore bancario è l’emblema dello stato di salute dell’UE, rispondendo a quel passaggio, non ancora concluso, di realizzare l’Unione bancaria, resasi necessaria, a seguito della crisi finanziaria che ancora persiste. Mentre è sempre in discussione l’EDIS (sistema europeo di garanzia dei depositi), meccanismo prudenziale il cui obiettivo è affiancarsi ai sistemi nazionali per restituire un livello più elevato di tutele patrimoniali in caso di dissesto degli enti creditizi, il dibattito si sposta sul tema dell’integrazione.
Cito l’EDIS, per la finalità a tendere, che è quella di coprire l’intero ammontare dei bisogni di liquidità e delle perdite sopportate dagli schemi nazionali, in caso di risoluzione delle banche. In sostanza, si mettono in comune le risorse in maniera preventiva per darne beneficio, in caso di necessità, al singolo. Il meccanismo vale per coloro che fanno parte dell’Unione bancaria, proprio perché l’obiettivo è ridurre l’asimmetria tra gli schemi nazionali e lo schema comunitario. Integrarli, quindi.
Ma se di asimmetria trattasi, prende sempre più forza l’opinione che l’applicazione degli stress test per le banche europee, abbia visto parametri non uniformi nel tempo. Già ad ottobre dell’anno scorso il Financial Times evidenziava differenze di applicazione nei criteri, a favore di uno degli istituti tedeschi più importanti. A Siena, le indicazioni perentorie della Bce di liberarsi in tempi brevi degli NPL, non hanno condotto certo all’esito di creare migliori condizioni per affrontare il pericolo di probabili scenari avversi.
Dai numeri, tuttavia, possiamo apprendere.
Gli ultimi dati ci raccontano di un aumento delle passività di bilancio detenute dalla Bundesbank del +487% da gennaio dell’anno scorso a febbraio di quest’anno, a testimonianza della percezione di solidità del sistema bancario che caratterizza i depositi. Nella classifica del maggior ammontare di depositi esteri, alla Germania, seguono Francia e Olanda.
In Gran Bretagna si è appena registrato il livello più basso, dal 1975, di coloro che sono in cerca di lavoro e chiedono sussidi da parte dello Stato, smentendo, per ora, le previsioni pessimistiche collegate alla Brexit.
La Spagna, nel 2016, con un deficit di circa il 4,6% (ben al di sopra del 3%) ha registrato una crescita del PIL quasi doppia rispetto alla media europea. In sintesi, il deficit ha favorito la sua ripresa economica.
Se avanza la percezione che aver ceduto sovranità a Bruxelles non è bastato per creare vera integrazione, dipende dalle differenze che esistono, di fatto, nei diversi Paesi.
Le due velocità e l’ulteriore cessione di sovranità da parte degli Stati nazionali, annunciate come soluzione per raggiungere lo stesso obiettivo in tempi diversi, francamente, non mi convincono.
Maria Luisa Visione
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