Affitti brevi e Manovra di Bilancio: come finirà?

Sta facendo discutere molto la norma sugli affitti brevi inserita nella Manovra di Bilancio che prevede un aumento della cedolare secca dal 21 al 26%, con una stima di introiti a tendere nelle casse dello Stato per circa 11 milioni di euro all’anno.

Gli immobili da sempre considerati un bene importante e sicuro nella cultura degli Italiani, rappresentano anche una fonte di entrata e un investimento di cui poter beneficiare nel tempo.

Si acquistano come seconde case con l’idea di affittarli e pagare il mutuo con i canoni. Il posizionamento rimane un fattore determinante per la loro attrattività, pensando di rivenderli a un prezzo maggiorato. Si decide di acquistarne più di uno per lasciarli in eredità o avere un’integrazione di reddito in pensione. Insomma, negli ultimi anni la possibilità di affittarli per periodi brevi, a rotazione, ne ha ulteriormente fatto intravedere le potenzialità di reddito beneficiando dei vantaggi forniti dalle piattaforme on line per offrire un servizio a chi viaggia.

Quali sono i numeri degli affitti brevi in Italia?

In base ai dati del Centro Studi AIGAB (Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi), sono 502mila le seconde case attualmente presenti nel circuito del vacation rental; 11 miliardi il valore complessivo generato; 30mila professionisti, e non, con un indotto nel mondo del lavoro di circa 150mila persone.

Qual è la distribuzione territoriale dei 502mila immobili on line?

Alcuni territori sono maggiormente interessati rispetto ad altri. In primis la Toscana con 66.279 affitti. Seguono: la Lombardia con 56.497 affitti; la Sicilia con 55.670 affitti; la Puglia con 46.960 affitti e la Sardegna con 41.004 affitti (Fonte: elaborazione Centro Studi AIGAB su dati ISTAT e PriceLabs).

Aspetto cruciale della modifica in manovra

L’aggravio legato all’aumento della cedolare secca interessa tutti, sia la mediazione fisica che quella digitale. In particolare, però, quando l’immobile viene locato tramite piattaforma telematica o agenzia fisica, anche soltanto una volta, con un solo contratto, durante il periodo di imposta, si applica la tassazione più alta del 26%.

In sostanza, rimangono esclusi dall’aggravio soltanto coloro che affittano in autonomia, senza ricorrere ad agenzie o a portali telematici, durante tutto il periodo d’imposta. In questo caso la cedolare secca sarà del 21% con l’opzione in dichiarazione dei redditi. Ma, ribadisco, mai, nemmeno una volta, i proprietari potranno ricorrere a terzi.

Funzionerà davvero l’affitto solo con il passaparola? Oppure è presumibile che, alla fine, tutto il mercato verrà coinvolto dalla maggiore tassazione?

Risulta piuttosto improbabile pensare di avere una buona redditività dall’immobile senza passare da intermediari, affittando soltanto con il fai da te. Ipotizziamo che funzioni; chi affitta in autonomia avrà l’obbligo di segnalare alla Questura l’occupazione dell’immobile, ma non quello di dichiarare il corrispettivo per l’ospitalità. Quindi, potrà chiedere quanto vuole, anche in contanti, senza applicare alcuna tassazione. Prospettiva che fa pensare a un potenziale aumento dell’economia sommersa.

Potrebbe, invece, accadere che, a conti fatti, l’aggravio previsto per i proprietari conduca a un ripensamento sulla convenienza e appetibilità degli affitti brevi e sull’investimento immobile.

L’idea dell’affitto come fonte di reddito, infatti, si deve coniugare con la reale redditività, quella, cioè, che viene fuori una volta considerati i costi legati alla manutenzione delle case e alla tassazione effettiva applicata. Infatti, la cedolare al 26%, secondo le stime AIGAB, al proprietario, tolte le spese vive di pulizia e di intermediazione, le bollette, le tasse di soggiorno e l’IMU, costerebbe circa un 6% di guadagno in meno.

Si farà marcia indietro, quindi? Vedremo nei prossimi giorni.

Maria Luisa Visione