Poco meno di un quarto della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale.
Il dato, appena pubblicato dall’Istat, si riferisce al 2022: 14 milioni 304mila persone, un numero che non si discosta in maniera significativa dal 2021 quando era pari al 25,2%, segno che le politiche sociali ed economiche non sono state efficaci, ma hanno soltanto tamponato una situazione di povertà che sembra essersi consolidata.
Purtroppo, sono proprio le persone povere quelle che ricevono i colpi maggiori durante le crisi economiche e politiche. Entrando nel dettaglio, nel 2021, l’importo medio del sostegno ricevuto è stato di 2.262 euro, per il 15% delle famiglie.
Secondo l’indicatore sintetico dell’Agenda 2030 dell’ONU che si prefigge all’Obiettivo n. 1 di Sradicare la povertà in tutte le sue forme nel mondo, il 24,4% dei poveri in Italia, lo sono per cause legate al reddito percepito, o alla deprivazione materiale e sociale, o alla bassa intensità di lavoro. Esploriamo allora il dato, con qualche esempio.
La contrazione in termini reali del reddito, rispetto al 2007, anno che precede la crisi finanziaria mondiale dei mutui subprime, è in media del 5,3%, con punte del -10% nel Centro e del -9,4% nel Mezzogiorno. Flessione dei redditi particolarmente accentuata per le famiglie la cui fonte di entrata principale è il lavoro autonomo (-10,5%) e il lavoro dipendente (-7,5%).
Per capire la mole delle disuguaglianze reddituali esistenti, il 50% delle famiglie residenti in Italia ha un reddito non superiore a 2.248 euro al mese, ma gli anziani che vivono soli, nel 50% dei casi, non superano la soglia di 1.329 euro mensili.
L’area del nostro Paese con la percentuale più alta di individui a rischio povertà rimane sempre il Mezzogiorno con il 40,6%; tuttavia se si osserva una riduzione di tale rischio per la Campania e la Sicilia, non è così per Puglia, Sardegna e Calabria, dove, invece, il rischio sale; inoltre, in Sardegna e Calabria, aumentano la bassa intensità di lavoro e la grave deprivazione.
Come accade in tutta Europa, poi, tale rischio “è più elevato” per le donne rispetto agli uomini (22,7% contro 20,4%, fonte Eurostat).
Il quadro generale legato all’inflazione non aiuta affatto, né tantomeno la politica monetaria di aumento dei tassi di interesse della BCE, che non facilita il nuovo accesso al credito anche a tasso fisso, e che rende più costosi gli indebitamenti esistenti, prevalentemente contratti a tasso variabile. Politica monetaria che, all’atto attuale, non ha risolto il problema del potere di acquisto reale, cioè ciò che rimane in tasca agli Italiani.
Con queste prospettive economiche è difficile che la situazione povertà in Italia possa rientrare.
Le politiche di sostegno all’occupazione e al reddito, di certo hanno dato una piccola mano, ma non basta.
Servono “investimenti accelerati”, per citare l’Agenda 2030 e strategie di sviluppo a favore dei poveri, strategie sensibili alle differenze di genere.
Servono un mondo migliore, e una politica economico-sociale sistemica migliore, per creare validi e solidi sistemi di protezione sociale.
Un quarto della popolazione! Da brividi.
Maria Luisa Visione