La recente uscita, sulla sua pagina Facebook, del Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in merito a coloro che hanno abbondantemente beneficiato dei crediti concessi da MPS (“Di grazia, potete fornirci i nomi dei primi cento grandi beneficiari di questi crediti facili?”), mi pare consentire una riflessione sul PD e sul futuro di Siena, che è strettamente connesso con quello del PD. Le parole del governatore, infatti, che seguono di qualche settimana il duro attacco pronunciato, all’indomani delle elezioni amministrative del 5 giugno, contro il premier Renzi – accusato di “rincorrere il centro politico e sociale” – finiscono col ritagliare un po’ di spazio anche a lui sulla scena politica locale, quella stessa scena al centro della quale da tempo si trovano due contendenti: il consigliere regionale Stefano Scaramelli e il sindaco Bruno Valentini.
Il loro sodalizio è oramai sbiadito, al pari della fotografia, era il 2012, nella quale sorridevano abbracciati al presidente del Consiglio (anche il sorriso di quest’ultimo, ultimamente, mi pare un po’ sbiadito). Tutto, infatti, è divenuto per loro motivo di scontro: il rapporto tra Siena e la Regione, che per il primo si è rafforzato (“La percezione della città un anno fa era di grande lontananza. Oggi si è attenuato lo scollamento forte con le Regione. Un avvicinamento ottenuto grazie al nostro lavoro”), mentre per il secondo è rimasto sostanzialmente immutato (“Scaramelli parla di scollamento fra Siena e la Regione fino a un anno fa, adesso ricomposto. La realtà è un’altra, come sanno tutti”); l’atteggiamento tenuto e da tenere nei riguardi del cosiddetto Sistema Siena, fondato sul mero esercizio del potere; la costruzione di una nuova classe (vincente) dirigente in vista delle amministrative del 2018. Ed è proprio questa scadenza che mi spinge a chiedermi se possa essere questo PD, il PD di Valentini e/o di Scaramelli (ma anche di Rossi), il partito più adatto a fare uscire Siena dall’attuale stato di crisi e a restituire valore a parole come partecipazione popolare e merito. Personalmente nutro dei dubbi fortissimi.
Dove a governare, infatti, è sempre lo stesso partito (in questo caso PCI, PDS, DS, PD), la politica da un lato tende a scadere a stanca ripetizione dell’uguale, a scialba amministrazione dell’esistente, priva di slancio, di audacia, di ideali – quando, invece, tutta l’esperienza storica insegna, a dircelo è Max Weber, che “non si raggiungerebbe il possibile se non si fosse tentato nel mondo continuamente l’impossibile” –: dall’altro, la gestione del potere viene sempre più a somigliare a un’occupazione / spartizione dello stesso. Non solo, ma la storia del PD senese è la storia fin dalla sua costituzione di una lacerazione permanente, che ogni volta dalla cabina delle primarie e della consultazione elettorale si è trasferita alla sala consiliare di Palazzo pubblico.
Ora, ciò di cui la nostra città, già avvilita da una oligarchia intenta unicamente a difendere i propri privilegi e a tenere lontano da incarichi e posti di responsabilità chi non le appartiene, necessita, è esattamente il contrario, ovvero un sindaco che sia prima di tutto splendidamente e orgogliosamente libero, immune da condizionamenti e da appartenenze di parte, sostenuto da una maggioranza nella quale eventuali contrasti non siano contrasti pregiudiziali e pregressi, bensì scaturiscano da maniere diverse di ricercare (e di trovare) la soluzione ai reali problemi della città. Un sindaco, insomma, che sia espressione della società civile, capace di unire chi si affaccia ora alla politica attiva e chi vi si è affacciato da tempo, ma che poi l’ha abbandonata, perché deluso dalla granitica e autoreferenziale compattezza del Sistema Siena.
di Francesco Ricci