Inauguriamo il nuovo anno ripartendo dalla priorità del valore del lavoro e del salario, con la prospettiva di tenere aperta la questione come centrale per parlare di futuro nel nostro Paese.
La fonte dell’analisi è il Rapporto INAPP 2023, pubblicato a dicembre, tra i cui punti centrali emerge la questione della perditadi potere di acquisto dei salari italiani negli ultimi 30 anni. Nel Rapporto si citano gli articoli 1 e 4 della nostra Costituzione.
Rileggiamoli insieme; art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”; art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”. Il diritto al lavoro è espressione della centralità della persona, dell’essere umano, insieme al dovere di contribuire all’evoluzione della nostra società.
Sono molti gli aspetti che vengono alla luce nel Rapporto, lontani, in qualche modo, dall’attuazione dei principi costituzionali, e in questo senso, essi possono rappresentare una sfida, un’occasione per orientare diversamente le politiche economiche e sociali.
I datori di lavoro trovano difficoltà nel riempire alcuni posti vacanti, a causa della carenza di competenze e della carenza di candidature. Su ciò l’inverno demografico inizia a farsi sentire, con la forza lavoro che invecchia rapidamente, senza essere ripristinata. Esistono disallineamento tra competenze e forme di occupazione e di retribuzione, spesso precarie e mal remunerate;disallineamento dei percorsi formativi, dimissioni volontarie, insoddisfazione. Il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni (oltre 3,3 milioni di persone) ha pensato di lasciare il proprio lavoro. A tali criticità si aggiunge la permanenza, come fattore “quasi strutturale”, a mio parere, delle disuguaglianze salariali, causa di contratti non adeguati. Disuguaglianze che si accentuano nel Sud e per il genere femminile; solo il 4,5% di aziende ritiene importante l’introduzione del programma di incentivazione per l’assunzione di lavoratrici femminili. Gli attuali incentivi in campo non funzionano né per la crescita dell’occupazione delle donne, né per quella dei giovani.
Emerge anche come le disuguaglianze sulle fasce di popolazione vulnerabile, quali anziani e disabili, conducano all’erosione del Welfare e dello Stato sociale per una parte della popolazione, che, invece, a mio avviso, dovrebbe essere sempre tutelata, in uno Stato civile.
In questo quadro, fa da corollario il fatto che dal 1991 al 2022 gli stipendi degli Italiani, sono cresciuti solo dell’1%, a fronte del 32,5% in media nell’area Ocse e che la percentuale di donne occupate resta bloccata al 40,9%, a fronte del 60% degli uomini.
È tempo di girare la boa e di attuare la nostra Costituzione. Il lavoro non può e non deve essere povero. Il lavoro retribuito equamente incide sulla crescita economica del Paese e su quella spirituale, delle persone e della società. Incide sulla soddisfazione e sulla produttività, facendoli aumentare.
Cosa fare? Passare dalla politica ai fatti concreti.
Benvenuto 2024!
Maria Luisa Visione
L’obiettivo per tutti dev’essere quello scolpito negli articoli 1 e 4 della Costituzione:
la Repubblica fondata sul lavoro e il diritto al lavoro legato al dovere
di concorrere al progresso materiale o spirituale della società. E con questo,
torniamo alla necessità di avere come faro delle nostre analisi e al centro delle
nostre politiche la persona. E, quindi, la qualità del lavoro.