Economia

Brexit: rischio economico o rischio politico?

“La Gran Bretagna dovrebbe restare membro dell’Unione Europea o lasciare l’Unione Europea?” E’ la domanda alla quale risponderanno gli elettori britannici il prossimo 23 giugno. Per vincere non è richiesta nessuna affluenza minima e basta la differenza di un voto. E’ dal lontano 1975 che i cittadini britannici non si esprimono sulla Ue. Dal sì di allora sono aumentati gli euroscettici, sia all’interno del partito conservatore del premier Cameron, che all’esterno. E la partita non è affatto scontata. Se vincerà il fronte favorevole all’uscita, come previsto dall’art. 50 del trattato dell’Ue, inizieranno le complesse negoziazioni tra la Gran Bretagna e Bruxelles per un periodo di transizione di almeno due anni.

Rischio economico

La svalutazione della sterlina di questi giorni e l’aumento di volatilità implicito nella valuta registrato dal 2008-09 sembrano confortare l’ipotesi comune di un impatto immediato negativo sull’economia generale. Ma, mentre per i pro-Brexit si tratta di un effetto temporaneo, il fronte opposto pensa che le conseguenze di un no all’Europa saranno permanenti, con andamento negativo di PIL, investimenti e esportazioni. Le previsioni avverse degli esperti riguardano l’intera Europa e, in particolare, l’economia irlandese, strettamente legata a quella britannica. Intanto, le grandi imprese si sono coperte da un possibile rischio di svalutazione del pound superiore al 10%; la Banca d’Inghilterra ha indetto tre aste straordinarie per garantire liquidità al sistema bancario; il comitato di politica monetaria e quello di politica finanziaria sono pronti per riunioni di emergenza. Inoltre, il governatore Mark Carney chiamerà in campo Fed e Bce se i mercati finanziari dovessero mettere sotto pressione la disponibilità della sterlina. La verità è che gli scenari restano imprevedibili, nessuno sa cosa succederà davvero o quale politica monetaria verrà perseguita.

Rischio politico

Non va, però, sottovalutato il rischio politico che è alle porte: partiti e movimenti degli altri paesi europei, se la Gran Bretagna lascia l’Ue, avrebbero carta bianca per spingere sulla stessa direzione. La Ministra degli Esteri svedese Margot Wallstrom ha da poco dichiarato: “Forse anche noi dovremmo andarcene”. Il sindaco di Londra, Boris Johnson, in un recente articolo analizza come, a beneficiare dell’entrata nell’Ue, siano stati soprattutto grandi aziende e multinazionali, creando disuguaglianza e disparità economiche importanti. Viceversa, il cancelliere Angela Merkel sostiene che “rimanere nella Ue sarebbe la soluzione migliore”, e il Ministro delle Finanze tedesche Schäuble avverte i contrari: “Il Regno Unito dovrebbe attenersi in questo caso alle regole di un club dal quale è voluto uscire. Dentro è dentro e fuori è fuori”.
Rimangono incertezze su come la Gran Bretagna regolerà i rapporti con l’Europa e la paura che i mercati finanziari approfittino della situazione, con movimenti fortemente ribassisti e l’aumento dell’avversione al rischio degli investitori. Ma di fatto, saranno i britannici a decidere democraticamente l’uscita, e se ciò accadrà, nonostante le difficoltà iniziali, si innescherà il processo per definire le condizioni della separazione di un Paese dall’Ue.

Maria Luisa Visione

Katiuscia Vaselli

Nata nel cuore di Siena, giornalista e contradaiola fervente. Ora Capo-redattorice di Siena News e Presidentessa di Dinamo Digitale.

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