La MIFID 2 ribadisce che gli strumenti finanziari vengano offerti o raccomandati solo quando ciò sia nell’interesse del cliente.
D’altro canto, l’ultimo rapporto Consob ha ben evidenziato la reticenza degli investitori italiani a fornire informazioni dettagliate e accurate durante la prestazione del servizio di consulenza finanziaria. Un gap che trova ragione di esistere nella difficoltà di comprendere ed elaborare le informazioni ricevute, in particolare riguardo alla rischiosità delle opzioni di investimento proposte e alla profilatura soggettiva del rischio.
Il quadro che emerge è quello di un investitore non completamente consapevole su come comportarsi per ricevere una consulenza che non sia solo formale.
Capire quale consulente è oggi in grado di offrire il tipo di servizio che cerco risulta prioritario.
Il primo passo è chiedermi il perché, ovvero l’ampiezza del servizio che voglio ricevere. Se la consulenza si estende, in modo completo e integrato, a esigenze di protezione, previdenza, indebitamento, risparmio, investimento, immobiliare, tutela patrimoniale e fiscalità, non posso credere che rilasciando scarse informazioni otterrò completezza. Come pensare di non considerare la copertura dei rischi personali di invalidità in presenza di una famiglia monoreddito, o l’esistenza di debiti in essere, durante le fasi del ciclo di vita in cui il reddito diminuisce o le spese aumentano. La scelta di ricevere un servizio su tutte le aree di bisogno elencate o solo su una, è una scelta legittima; che, però, deve tener conto del fatto che una scelta parziale, non partecipa, di fatto, pienamente a tutto il ciclo di vita economico.
In questa direzione segue il secondo aspetto, chiedermi che tipo di consulenza voglio, il cosa. Può comprendere l’intero processo in un’unica prospettiva: analisi degli obiettivi qualitativi e quantitativi, pianificazione delle soluzioni, scelta dei prodotti e monitoraggio. Oppure essere una consulenza di tipo generico, che offre raccomandazioni strategiche, senza consigli di prodotto.
Il terzo aspetto infine è chiedermi come deve operare il consulente che voglio, il come. Come coach, per allenarmi a comprendere l’operato dell’intermediario e le caratteristiche e i vincoli dei prodotti che sottoscrivo; come counselor, per ricevere supporto nel prendere decisioni e per diventare consapevole del mio atteggiamento e del mio rapporto con il denaro; come pianificatore o consulente di processo, che mi accompagna su tutte le aree di bisogno per l’intero ciclo di vita, dalla strategia di pianificazione all’implementazione dei prodotti, utili a realizzare i miei bisogni; o, infine, come semplice facilitatore, assistente, nel realizzare le scelte da me fatte in autonomia.
A seconda dell’ampiezza del servizio, del tipo di consulenza e della figura di consulente scelti, dovranno corrispondere competenze e conoscenze professionali di diverso tenore e profondità. E il buon senso suggerisce, anche, remunerazioni diverse.
In America la scelta di un consulente finanziario avviene consultando il suo sito personale, l’iscrizione all’albo, le sue certificazioni di competenza, le sue esperienze professionali, il tipo di portafoglio e il numero dei clienti sviluppati, il target di clientela di riferimento, il suo modello di servizio, se parziale, completo o, omnicomprensivo e integrato. Si adopera cioè una sorta di riconoscimento con l’interlocutore che dovrà occuparsi degli aspetti economici, finanziari e patrimoniali.
Uno dei miei professori mi ha insegnato che non è importante la risposta, ma la qualità della domanda.
Maria Luisa Visione