Economia

Conflitto di interesse e recupero crediti

Il conflitto di interessi è una delle piaghe peggiori che affligge l’Italia. In ogni settore della vita politica ed economica del nostro paese si annida un conflitto di interessi più o meno vistoso.  Un caso di conflitto di interessi poco noto al grande pubblico ma particolarmente deleterio per la vita economica del nostro paese si trova nel settore del recupero crediti.
Questo particolare conflitto di interessi riguarda il terzo pignorato, ovvero il soggetto che dovendo dare del denaro ad un altro soggetto viene bloccato dai creditori di quest’ultimo. I soggetti che più di frequente si trovano in questa situazione sono le banche per il denaro che devono restituire ai loro clienti e i datori di lavoro per il denaro gli stipendi che mensilmente pagano ai loro dipendenti. 

Tutela del cliente e rispetto della legge

È evidente che tali soggetti si trovano stretti tra due fuochi, da una parte salvaguardare gli interessi di soggetti con cui hanno rapporti molto stretti (dipendenti, clienti, fornitori ecc) e, dall’altra, adempiere ad un obbligo di legge.
Esempio di tale scomoda situazione è la banca che quando diviene destinataria di un pignoramento presso terzi deve bloccare il conto del proprio cliente e mettere a disposizione del creditore le relative somme.
Ecco sorgere il conflitto di interesse che nasce dal contrapporsi di due esigenze: tutela del cliente e rispetto della legge. Quale interesse prevarrà di norma nella pratica? Di norma, purtroppo, il terzo pignorato fa prevalere l’interesse a tutelare il soggetto a se più prossimo, cliente, dipendente o fornitore che sia.  Vediamo come in concreto il terzo pignorato può sabotare la procedura di recupero crediti.

Come evitare la procedura di recupero crediti

Una volta effettuato il pignoramento presso il terzo, il creditore ha 30 giorni per iscrivere a ruolo la procedura e non farla estinguere. Purtroppo la scelta se proseguire o abbandonare la procedura di recupero crediti non è una scelta economicamente neutra.
Al momento dell’iscrizione della procedura, difatti, il creditore deve investire altro denaro in tasse del giudizio per far proseguire la procedura di pignoramento.  Appare evidente che ne caso in cui il pignoramento non abbia avuto un esito positivo (ovvero il terzo non si in possesso di alcuna somma) la prosecuzione della procedura per il creditore sarebbe un inutile dispendio di tempo e denaro.
Il terzo, per tutelare il proprio cliente-dipendente-fornitore può omettere di effettuare la dichiarazione, mettendo il creditore davanti alla prospettiva di spendere altro denaro investendo su una procedura probabilmente infruttuosa.
Davanti ad un’assenza di dichiarazione il creditore molto spesso decide di abbandonare la procedura di recupero crediti. Purtroppo tale condotta non è sanzionata in alcun modo dalla legge. 

Conto corrente pignorato

Altro sabotaggio molto spesso praticato dalla banca consiste nell’avvisare in anticipo il debitore dell’arrivo del pignoramento, mettendolo in condizione di spostare il denaro dal conto corrente pignorato.
L’ultima e più grave delle condotte collusive è effettuare una dichiarazione falsa, ovvero attestare falsamente di non dovere nulla al soggetto pignorato. Anche il datore di lavoro ha vari sistemi per salvaguardare il proprio dipendente dalla procedura di pignoramento, sistema molto diffusa consiste nella riduzione fittizia dell’orario di lavoro del dipendente.
In alternativa, il dipendente e il datore di lavoro possono accordarsi per un licenziamento seguito da una nuova assunzione da parte di un diverso soggetto. Appare evidente che tale conflitto di interessi rende estremamente difficoltose le procedure di recupero crediti creando gravissimi problemi a privati e imprese che devono recuperare somme di denaro. 

Francesco Laezza

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