Si allarga il divario di reddito tra le famiglie italiane più abbienti e quelle più povere.
Un divario di sei volte meno per chi vive una condizione di disagio che scatena una riflessione doverosa.
Oggi il 50% delle famiglie, posizionato al centro dei due opposti rilevato come a spaccare l’Italia in due, percepisce un reddito netto di 2.120 euro al mese: non solo un numero se si confronta con il passato e con l’attuale potere di acquisto veramente ridotto in termini reali. Infatti, i dati citati evidenziano una contrazione importante dei redditi rispetto al 2007 e una perdita di potere d’acquisto in media dell’8,8%, maggiore nel Mezzogiorno e per le famiglie più numerose.
Tuttavia, la distribuzione dei dati è asimmetrica, significa che, in realtà, la maggioranza delle famiglie ha percepito un reddito inferiore all’importo medio e tale composizione evidenzia proprio la tendenziale scomparsa di quella che una volta era considerata la classe media. Sono poi i redditi da lavoro dipendente a non crescere, registrando la prima contrazione dello 0,5% dal 2013 (Istat – Reddito e condizioni di vita, 2018).
Questo è davvero uno dei casi in cui la lettura dei numeri parla da sola raccontando un cambiamento sociale dirompente che si chiama disuguaglianza. A livello europeo la disuguaglianza tra i redditi degli individui prende il nome di “indice di concentrazione di Gini”; l’Italia stima un valore di tale indice più alto rispetto agli altri grandi Paesi europei (0,334 rispetto a Francia con 0,285 e Germania con 0,311 – 2017) a testimonianza di differenze importanti di distribuzione del reddito tra la popolazione.
In questo divario ci sono circa 12 milioni e 230 mila persone a rischio di povertà, ovvero con un reddito di 842 euro al mese che deve bastare per tutto e, su questo aspetto, anche se l’Istat inequivocabilmente registra un miglioramento percentuale dei dati nel 2018, penso che sia la cifra assoluta a dire la sua, piuttosto che il confronto con i Paesi, oggi pochi in Europa a fare peggio di noi, e alcuni, che invece fanno meglio di noi.
Perché quando si raccontano questi numeri, per capire bisognerebbe chiudere gli occhi e pensare a coloro che la maggior parte delle volte quei soldi li fanno bastare, in onore di una dignità vicina alla vera onestà.
Mi ha colpito anche come il sistema fiscale italiano, pur permettendo maggiori detrazioni alle famiglie con figli minori, si arrotoli sulla regola, in quanto non prevede trasferimenti monetari ai cosiddetti incapienti. In sostanza, le famiglie con meno di 15 mila euro non riescono ad abbattere il loro carico fiscale pur in presenza di un numero considerevole di figli, perché a causa di entrate ridotte non possono fruire delle detrazioni spettanti, in quanto l’imposta è bassa o nulla.
La nostra società è ormai profondamente cambiata, lo percepiamo tutti, con un senso di dispiacere profondo, ancora di più in questo periodo vicino al Natale, in cui ritornano nel cuore quei sentimenti di solidarietà e bontà che ci caratterizzano come popolo.
Prendiamoci allora un attimo per chiedere a noi stessi in quale modello socio-economico desideriamo vivere, se possiamo in qualche modo avere voce e darla a chi non ne ha.
Non so se vedrò mai una protesta per i poveri del mio Paese, quei poveri che quando ero bambina, erano agli angoli delle strade. Da bambina, però, pensavo che il progresso e la civiltà li avrebbe ridotti, non aumentati, come è accaduto nell’Occidente.
Continuo a immaginarli vagabondi, assopiti, avvolti da una coperta nelle strade, ma forse anche questa di immagine, oggi, non è più in grado di renderli visibili ai nostri occhi.
Maria Luisa Visione