Non si arresta la crescita della povertà in Italia nemmeno nell’ultimo bollettino Istat appena pubblicato: 18.136.663 individui a rischio, in condizione di povertà, esclusione sociale, grave deprivazione materiale e bassa intensità lavorativa; ovvero il 30% della popolazione. Un dato allarmante, inquietante, ben lontano dai propositi perseguiti dalla Strategia Europa 2020. L’obiettivo di politica economico-sociale per il nostro Paese era, infatti, quello di far uscire 2,2 milioni di persone da tale baratro rispetto al 2008, quando si contavano 15.082.000 individui. Tuttavia, mentre la strada verso il 2020 si accorcia, il saldo attuale da pareggiare, di oltre 5 milioni, si allarga dal target iniziale.
Rispetto all’Europa l’Italia si posiziona un po’ più alta della Spagna (27,9%) e più bassa della Grecia (35,6%), ma distante da Francia (18,2%), Germania (19,7%) e Gran Bretagna (22,2%). Sempre nell’ambito dei 28 Paesi dell’UE, siamo in ventesima posizione per disuguaglianza nella distribuzione del reddito e ciò spiega la contrapposizione con il valore reale del reddito medio, in aumento. Che detto in altri termini vuol dire che il reddito totale dei più benestanti è pari a 6,3 volte quello degli individui appartenenti alla fascia con reddito più basso.
Se esploriamo i dati emerge immediatamente che peggiorano quando in famiglia sono presenti più minori o persone sole, under 65; questa fotografia è implacabile sulla declinazione della condizione di povertà nel modello economico sociale di vita che ci rappresenta.
Eppure non li vediamo. Aumentano ogni giorno nelle stazioni, per strada. Altri sono nascosti e non chiedono aiuto. Ma ci sono. E tanti sono bambini o anziani. In Toscana, circa un quinto delle oltre 22 mila persone che si sono rivolte alla Caritas in un anno percepiva un reddito da lavoro o da pensione (dossier Caritas 2016). Rispetto al passato, oggi, anche un grado di istruzione più alto non basta per allontanarsi dallo spettro povertà. Il problema è macroeconomico. Dobbiamo chiederci cosa cambiare in un sistema che cerca soluzioni tampone, encomiabili come quella del REI, che però lasceranno fuori molti, in attesa di una nuova misura che contrasti il fenomeno. Chiederci quale tipo di politica economico-sociale possa arrestare un processo che ieri apparteneva a meno persone: se ci sono più poveri non è perché è aumentata la popolazione, ma perché sono diminuiti lavoro e ricchezza. Non sarà certo la politica dell’assistenzialismo a risolvere un problema così complesso, perché dietro la porta della povertà ci sono l’esclusione sociale e la perdita della dignità umana.
Ma la vera domanda è: lo Stato ha oggi piena autonomia e potere per mettere in campo strumenti di politica economica che affrontino alla radice il problema? Strumenti che consentano di aumentare l’occupazione, i redditi di molti, i consumi e i risparmi? Riuscendo, contemporaneamente nella funzione di welfare sociale proattivo? Monitorando gli esiti delle risorse impiegate attivamente? Solo se ha tale autonomia di politica economica potrà riuscire.
Grata, sempre e comunque, per le tante iniziative micro dei cittadini, angeli volontari che mettono a servizio dei più bisognosi ogni giorno il loro cuore.
Maria Luisa Visione