A seguito del voto favorevole all’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna, si apriva l’interrogativo sulla natura del rischio derivante dalla decisione del popolo britannico. Per capire cosa è successo dopo più di due mesi dal referendum, leggiamo alcuni dati economici.
La recessione del Paese, prevista da Organismi Internazionali e Istituzioni Finanziarie, sembra allontanarsi con la crescita dello 0,6% del PIL britannico, certificata nel secondo trimestre del 2016. Il PIL rilevato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente risulta in progresso del + 2,2%, non riflettendo i timori legati al referendum.
Ad agosto l’indice manifatturiero PMI britannico è in espansione e sale a 53,3 punti (a differenza della Francia e dell’Italia dove scende al di sotto di 50), confermando la direzione di buona salute intrapresa dopo l’iniziale flessione dell’indice post Brexit di luglio. Il settore dei servizi registra afflusso turistico in aumento: per le aziende la svalutazione della sterlina, a ridosso del post voto, è stata utile.
Per la prima volta in sette anni la Banca d’Inghilterra taglia i tassi portandoli allo 0,25% e dichiara di essere disposta ad acquistare fino a 10 miliardi di sterline di corporate bond. Così molte grandi aziende colgono l’occasione di emettere sul mercato titoli denominati in sterline, complici i bassi tassi di interesse. Inoltre, per sostenere l’economia, la Banca d’Inghilterra amplia il quantitative easing a 435 miliardi di sterline e la valuta britannica riprende a salire dal 4 agosto. In sostanza, gli effetti sui mercati sono variabili e temporanei e ne beneficia chi ha l’opportunità di farlo. Ciò che è interessante osservare è che sono state riviste le previsioni di recessione della Gran Bretagna da parte di Morgan Stanley, Goldman Sachs, Fondo Monetario Internazionale, JP Morgan e altri importanti analisti finanziari. Bisogna dire che il periodo di osservazione è ancora breve e che il distacco effettivo dall’Unione Europea non è avvenuto di fatto. C’è però ormai la certezza che avverrà. Tuttavia, il rischio economico della Gran Bretagna dopo il referendum non appare poi così diverso da quello presente in altri Paesi dell’Area Euro, dove l’economia reale non ha beneficiato delle durevoli politiche monetarie di taglio dei tassi, quantitative easing e acquisto di titoli obbligazionari della Bce.
Rimane aperta la domanda sul possibile rischio politico di effetto domino post Brexit. Sono vicini due appuntamenti importanti in calendario. In Austria si terrà a novembre il ballottaggio delle presidenziali e in quella data vedremo se vincerà o meno il candidato di destra favorevole all’uscita dall’Unione Europea. In Italia l’esito del referendum costituzionale, a detta di molti, sarà indicatore del nostro sentiment sul tema, evidenziando l’allontanamento degli italiani da Bruxelles, in caso di vittoria del no. La stampa internazionale ha già iniziato a scrivere su scenari economici più o meno allarmanti. Ma il vero potere delle previsioni, che possono essere cambiate facilmente e all’occorrenza, lascia il tempo che trova. Invece, la forza dell’economia reale in buona salute non teme confronti.
E come un uragano è capace di travolgere ogni racconto, anche il più suggestivo, se è lontano dalla verità.
Maria Luisa Visione
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