Una economia al monopattino.
Perché di idee si vive ma di idee si può anche morire. O fallire, se spingono il concetto alla demagogia.
Lo ammetto: sono retró ma sono rimasto abbastanza sconcertato sul clamore mediatico (e sui provvedimenti) in merito alla spinta governativa all’acquisto di bici e monopattini.
Non solo e non tanto perché quella roba, ormai, viene prodotta quasi nella totalità in Cina o in Estremo Oriente quanto per le dichiarazioni che hanno accompagnato il lancio della misura statale a sostegno dell’acquisto.
Secondo il pensiero dominante il mezzo in questione ( bici o monopattino) sarebbe da utilizzare per recarsi a lavoro ovvero per gli spostamenti quotidiani in alternativa ad auto o moto. Idea molto smart ma che, ancora una volta, ci fa vedere come la politica sia lontana dal popolo e dalle esigenze dei cittadini. Anzitutto perché esclude una fascia di età (i piccoli e gli anziani, ma nemmeno troppo) che rappresenta un buon 60, 70 per cento degli abitanti della nostra penisola ed in secondo luogo perché non tiene in considerazione delle distanze e della morfologia del nostro Paese. Pensate ad un operai che si presenta a lavoro dopo aver fatto, magari sotto la pioggia, una ventina di chilometri in bicicletta – con la prospettiva di rifarli al ritorno- o la nonna che accompagna il nipote a scuola in monopattino. Ma tant’è: la demagogia passa avanti a tutto, anche a costo di tentare di far passare da beoti sessanta milioni di persone. Ma la questione dello smart, contrapposta al non smart è troppo forte come propaganda e allora ci si butta giù a capofitto, per un pugno di voti.
Ah dimenticavo: per una persona che lavora smart ne servono dieci che si fanno il mazzo in fabbrica e per un impiegato che va a lavoro su due ruote alle nove la mattina ce ne sono cinquanta che a quell’ora hanno già le mani (ed i vestiti) intrise di sporco e di olio.
Ma l’importante , nell’Italietta dei proclami, è essere “easy”.
Io penso differente.
Viva le fabbriche, le auto ed i camionisti.
Viva l’Italia!
Luigi Borri
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