Economia

Educazione finanziaria nelle aziende: è tempo di investirci

C’è una correlazione diretta tra ansia finanziaria e posizione lavorativa ricoperta?

Non ho trovato ricerche a supporto per affermarlo, tuttavia, vorrei lanciare alcune riflessioni sul tema e una proposta di intervento nell’ambito del Welfare aziendale.

Negli Stati Uniti si sta diffondendo sempre di più il fenomeno del “Great Resignation”, cioè l’abbandono volontario della posizione lavorativa ricoperta, alla ricerca di un lavoro più remunerativo, stimolante e gratificante. 

La complessità di questo mondo, dominato da incertezza continua, fa cambiare aspetto all’esigenza di lavorare; forse perché la normalità tanto attesa dal post pandemia, ha consegnato uno scenario diverso, ovvero: nessuna normalità tra guerra in corso, aumento dei prezzi, aumento dei tassi, possibili necessità di razionamento di gas e di acqua. Un’emergenza non più sanitaria, ma di transizione in divenire, che non mostra ancora il punto di arrivo. Ansia continua che genera naturalmente un sovraccarico nelle azioni della vita quotidiana.

Secondo il 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul Welfare aziendale, pubblicato a marzo 2022, 1 lavoratore su 3 ha ansia nel pensare al ritorno alla normalità e quasi 7 lavoratori su 10 si sentono meno sicuri e meno tutelati dalla loro condizione lavorativa attuale. Se da una parte chi ha un lavoro dice “menomale”, dall’altra prevale il sentimento di non essere riconosciuti. Non al punto di dare le dimissioni volontarie come negli Stati Uniti, ma, comunque, sopravvivendo a una situazione di insoddisfazione, che forse domani seguirà la tendenza americana.

Dal punto di vista del Welfare aziendale, si apre, a mio avviso, una finestra che guarda, oltre a tutti gli interventi a favore di maggiori retribuzioni e del risparmio fiscale, alla potenzialità di gesti di attenzione verso la motivazione e l’identità del lavoratore. Nel Rapporto citato, il 73,8% dei lavoratori è convinto che nei prossimi dieci anni ci saranno altre emergenze, con l’interruzione della quotidianità, mentre l’82,3% ritiene di meritare di più, ed è la paura di non riuscire a trovare un lavoro migliore la motivazione a restare, non la soddisfazione personale.

In questo quadro la leva economica è certamente significativa: il 91,2% dei lavoratori dichiara che la richiesta più importante che farebbe alla propria azienda è quella di avere più reddito. Poi c’è la richiesta di servizi di sanità, assistenza ai figli (86,5%), ma anche quella di maggiori informazioni, supporti, di avere una guida per affrontare problemi e difficoltà legati a specifici bisogni sociali come non autosufficienza, previdenza, scuole dei figli (75,2%).

Allora, se leggiamo oltre le righe di queste richieste, c’è il bisogno di aiuto, di supporto per realizzare gli obiettivi della famiglia e per vivere in serenità economica, con le tutele e le coperture legate al mantenimento della qualità di vita desiderata.

Trasformare queste richieste, dalle quali, necessariamente potrebbe derivare ansia finanziaria, in ore di educazione finanziaria retribuite, potrebbe rappresentare un grandissimo gesto di attenzione alla qualità della vita dei dipendenti.

Se è vero, come è riscontrabile da tutti i dati disponibili, che esiste un basso livello di cultura finanziaria negli adulti, attraverso il Welfare aziendale, la spinta propulsiva di rete ad elevarla diventerebbe un beneficio collettivo di grande portata, e un contributo efficace per l’azienda e per la comunità. 

Ritrovare fiducia in sé stessi rispetto all’organizzazione delle risorse economiche è un aspetto che non dipende soltanto dalla quantità dei soldi di cui disponiamo, così come imparare a utilizzarle al meglio, non è un elemento scontato o semplice. Anzi, è spesso un fattore di vulnerabilità che si traduce in ulteriore ansia. In un contesto in cui di preoccupazione ce n’è già molta.

Per investire nell’educazione finanziaria del lavoratore, però, ci vuole lungimiranza. Se, a livello legislativo, si creasse un meccanismo in grado di trasformare il costo sostenuto dall’azienda in un investimento per l’azienda stessa, tramite incentivi a mettere a disposizione programmi educativi premianti, credo che sarebbe una svolta.

Ripeto, programmi educativi, continuativi, non l’acquisto di un corso o di un tablet. Un percorso che consenta di trasformare le conoscenze finanziarie, assicurative e previdenziali acquisite in comportamenti funzionali a un migliore benessere finanziario.

Generando nel tempo una capacità decisionale consapevole, verso i rischi, ma anche verso le opportunità.

Maria Luisa Visione

Francesco Laezza

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