Aut aut contro la fauna selvatica di Coldiretti che anche a Siena, come nel resto della Toscana, annuncia misure drastiche e autonome da parte di agricoltori e allevatori per il controllo di cinghiali e piccioni. “La misura è colma. La pazienza degli agricoltori è esaurita. Alla vigilia delle semine primaverili avevamo con forza richiesto la ripresa degli interventi di controllo delle specie problematiche dannose per l’agricoltura. Una prima ma insufficiente risposta nell’ordinanza del presidente Rossi che autorizzava gli agenti volontari a effettuare interventi, misura apprezzabile ma carente, se non corroborata da un convinto e deciso impegno nell’attuazione. A distanza di quasi un mese registriamo quotidiane denunce da più parti della regione di presenze di cinghiali e piccioni che devastano le coltivazioni agricole”, tuona Coldiretti.
Più che raddoppiati negli ultimi dieci anni, i cinghiali salgono a 450mila in Toscana, con una stima dei danni in campagna che supera i 4,5 milioni di euro, denuncia Coldiretti – che sollecita la radicale riforma della Legge regionale obiettivo del 2015 ferma al palo ormai da 1 anno.
“In mancanza di risposte non si escludono azioni eclatanti a tutela della proprietà e delle coltivazioni. In una fase di emergenza causata dal Coronavirus, ci saremmo aspettati più convinzione nella difesa di una filiera alimentare indispensabile per il Paese. Invece, assistiamo di nuovo a palliativi come la caccia di selezione. Per questo chiediamo che l’agricoltore in possesso di licenza di caccia, decorse 36 ore dalla richiesta agli organi preposti, in caso di mancanza d’intervento, possa, perché costretto, intervenire direttamente sul proprio fondo con tutti i mezzi previsti dalle azioni di controllo, mentre in mancanza di possesso della licenza di caccia possa delegare una guardia volontaria e/o un cacciatore abilitato al controllo”, annuncia il presidente Filippi. Una procedura definita fin dal 1992 dalla stessa legge quadro sulla caccia la 157, a tutela delle produzioni agricole.
Negli ultimi anni le popolazioni di cinghiali hanno guadagnato terreno rispetto alla presenza umana – aggiunge Coldiretti – con una concentrazione media di un animale ogni cinque abitanti in una fascia territoriale segnata già dalla tendenza allo spopolamento per l’indebolimento delle attività tradizionali.
“Ogni 100 ettari di territorio si registra la presenza di almeno 20 cinghiali che aumentano ancora più se consideriamo la superficie agricolo forestale, mentre il Piano faunistico regionale ne prevede da 0,5 ad un massimo di 5 capi (la Legge Obiettivo prevedeva era ancora più restrittiva con 2,5 capi/100 ha). Tanto che si conta un ungulato per ogni pecora negli allevamenti, 4 per ogni maiale e 6 per ciascun bovino”, conclude Coldiretti.
“Oggi si deve passare senza indugi dalle parole ai fatti con una profonda riforma della gestione della fauna selvatica, il patrimonio agroalimentare e zootecnico conservato nel tempo dalle oltre 40mila imprese agricole con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari, un tesoro messo a rischio dall’avanzata dei cinghiali che sempre più spesso in queste aree spingono fin dentro i cortili e sugli usci delle case, scorrazzando per le vie dei paesi o sui campi, nelle stalle e nelle aziende agricole”.
Una situazione che costringe ormai le aziende a lasciare i terreni incolti, stravolgendo l’assetto produttivo delle zone – aggiunge Coldiretti – con il rischio che venga meno la presenza degli agricoltori, soprattutto nelle zone interne, e con essa quella costante opera di manutenzione che garantisce la tutela dal dissesto idrogeologico.