Le difficoltà c’erano e i dirigenti dell’Accademia dei Fisiocritici stavano portando avanti da tempo un tenace lavorìo per evitare che le difficoltà si trasformassero in crisi aperta e irreversibile. C’erano stati incontri, confronti, riscontri. C’era stata la speranza di poter inaugurare con un sorriso il 325° anno di attività e di poter annunciare che si era trovata la soluzione e che il pensionamento di alcune unità di personale non avrebbero fatto collassare la struttura. Non è stato così. E Siena, la povera Siena che non più tardi di qualche mese fa ambiva al titolo di Capitale Europea della Cultura, ha dovuto subire un’altra Waterloo culturale. Il museo dei Fisiocritici chiude. O meglio, sarà visitabile solo su prenotazione. Che è poco meno che la stessa cosa.
Adesso possiamo cominciare il gioco “di chi è la colpa”, senza, beninteso, dimenticare il controgioco “non è colpa mia perché”. E’ colpa del Ministero dei Beni Culturali che, dal 2008, non ha più erogato un centesimo e del Ministero dell’Università e Ricerca che non ritiene di doversi più far carico di questa istituzione (controgioco: non è colpa loro, perché in Italia non si riesce nemmeno a impedire che crolli Pompei, né a finanziare la ricerca universitaria. Figuriamoci dar soldi a un’accademia di trecento anni). E’ colpa dell’Università che, nonostante l’impegno sottoscritto, non è in grado di destinare ai Fisiocritici proprie unità di personale (controgioco: non è colpa sua perché l’Università ha fatto e fa salti mortali per tirarsi fuori da altri problemi; non può privarsi di amministrativi che le servono né, men che meno, stanziare l’equivalente dei relativi parametri di stipendio).
Enti locali e altre istituzioni del territorio, praticamente “non pervenuti”.
Meno male che la Regione continua a erogare 20.000 euro che, assommati a 12.000 di quote dei soci e a 3.000 dell’Università fanno un “bossolo” di 35.000 euro annuali. Con i quali si dovrebbero finanziare pubblicazioni, pagare i bibliotecari, il personale di segreteria e amministrazione e il personale tecnico che (dotato di necessaria preparazione, sennò fa più danni della grandine) dovrebbe occuparsi delle sezioni geologiche e di quelle zoologiche del museo.
Impossibile. Quindi si può fare una cosa sola: tirare giù la saracinesca o, visto che l’immagine è più elegante e realistica, chiudere il portone.
Così, una collezione che, in altri Paesi (in altre città italiane no, perché la situazione è identica un po’ dappertutto), da sola sarebbe il fulcro di redditizie e virtuose attività ed eventi scientifici e divulgativi (7.000 visitatori, lo scorso anno: pochi. Se valorizzata adeguatamente ne farebbe il doppio in una stagione) resterà invisibile e inutilizzabile. Siena perde un altro pezzo della sua cultura; cancella la possibilità di ricordare al mondo e a se stessa che, per secoli, dalle sale dei Fisiocritici ha transitato il meglio della cultura scientifica europea. Siena lascia sgretolarsi pezzi di memoria, ma quel che è peggio è che questa città, ormai “percossa e attonita” per le batoste subite, par quasi rassegnarsi a tutto quel che le sta capitando, limitandosi, quasi di regola, ogni volta a guaire come un cagnòlo che s’è beccato una pedata e tutt’al più, come lo stesso, a provare a emettere qualche abbàio rabbioso e impaurito da lontano. Ecco di chi è la colpa: del sistema città che non funziona più e che, privo della danarosa stella polare del Monte dei Paschi, non sa ormai più a che santo votarsi e aspetta. Aspetta. Verosimilmente, Godot.
Duccio Balestracci