Stimolare il risparmio privato verso l’investimento in infrastrutture è una strada percorribile?
“Gli Italiani e la Ricchezza”, l’ultimo Rapporto AIPB-CENSIS (Associazione Italiana Private Banking – Centro Studi Investimenti Sociali) indaga il pensiero e la percezione nel nostro Paese sui grandi patrimoni e sul loro possibile utilizzo in questa direzione.
Da una parte si chiede cosa ne pensano agli Italiani, dall’altra si sonda il favore dei clienti Private ad investire in questo segmento strategico per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione.
Il risparmio è mutato morfologicamente riflettendo il tempo in cui viviamo: non si consuma per precauzione e si ha timore, per prudenza, di investire nel medio-lungo periodo, mentre aumenta la necessità di protezione individuale.
Quando la ricchezza viene utilizzata come stimolo all’economia gli Italiani ne confermano un’opinione positiva, riconoscendo altresì l’importanza di destinare risorse ad aeroporti, autostrade, a reti digitali per l’innovazione, alle scuole, alla messa in sicurezza del territorio e alla valorizzazione dell’immenso patrimonio di cui disponiamo. Tuttavia rimangono diffidenti perché il settore delle infrastrutture e delle grandi opere si presenta in genere con ritardi, blocchi, sprechi, inefficienze, burocrazia lenta e corruzione radicata.
Invece, pur riconoscendo il contributo importante che apporterebbero i capitali privati allo sviluppo del Paese, solo poco più di un terzo dei clienti Private si dichiara possibilista, preferendo criteri di investimento orientati alla responsabilità sociale e al rispetto dell’ambiente.
Il rapporto degli Italiani con il denaro a più di 10 anni dalla crisi finanziaria del 2008 evidenzia una riduzione della propensione all’investimento: cash, cash, cash è la parola d’ordine, a dispetto dell’erosione dall’inflazione. Emerge una chiara fotografia: il 93% delle famiglie ha in portafoglio depositi bancari e postali e li possiedono più le famiglie con capofamiglia uomo, over 64, laureati nelle categorie dirigenti e imprenditori, e residenti al Nord. In pratica dalla pre-crisi l’unico strumento finanziario che si è veramente diffuso è il deposito bancario e postale, in un’Italia a PIL fermo e bisognosa di sicurezza.
Altra convinzione che affiora dall’indagine è che i soldi in liquidità o in investimenti finanziari non devono essere tassati più di quelli destinati ad investimenti nell’economia reale, perché rappresentano il salvagente sul piano pratico e su quello psicologico. Pensate che solo il 24,3% degli Italiani pagherebbe una tassa ad hoc sulla liquidità per finanziare spesa pubblica destinata al Welfare. Mentre, quelli disponibili ad essere coinvolti finanziando la realizzazione di infrastrutture, lo farebbero ancor più se stimolati da agevolazioni fiscali; tuttavia si dichiarano preoccupati che le grandi opere possano minare la salute e la tranquillità dei cittadini.
Dato che solo poco più di un terzo dei clienti Private destinerebbe una parte del proprio patrimonio a infrastrutture e opere pubbliche quali scuole, ospedali, e così via, qual è la ragione principale di ciò? Diversificare meglio gli investimenti, quindi, “se conviene”, considerando che occorrerebbe immobilizzare il capitale per diversi anni.
La conclusione è che anche in questo segmento prevale l’incertezza sul futuro e sulla capacità di sviluppare il nostro Paese in modo virtuoso, mentre emerge l’orientamento che sono altre le cose da fare per rilanciare l’economia, riducendo il cuneo fiscale e introducendo agevolazioni a favore di imprese e lavoratori per facilitare le assunzioni.
La strada per rendere attrattivi gli investimenti privati in infrastrutture è ancora lunga prima di invogliare gli oltre 840 miliardi di euro dell’industria del Private Banking a percorrerla, anche introducendo incentivi fiscali come nel caso degli investimenti nelle PMI (Eltif, European Long Term Investment Fund) inseriti nel Decreto Crescita.
Vedremo.
Maria Luisa Visione
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