Sul tavolo politico si fa strada finalmente un criterio a prima vista ovvio in campo pensionistico: stabilire un’unica data di pensionamento, senza considerare le diverse aspettative di vita sulla base dei diversi lavori, non è cosa buona e giusta. E’ come dire che lavorare in galleria, cava o miniera sia uguale a trovarsi tutti i giorni in ufficio o che lavorare ad alta temperatura non porti nel tempo alcuna conseguenza sul benessere fisico e psichico. Ma questo assunto evidenzia una contrapposizione titanica perché pensare solo in funzione dei numeri e dei dati fa dimenticare delle persone. E si perde l’umanità, come se si trattasse di una guerra tra poveri, quando invece i veri giganti non perdono mai.
Riappare il solito ritornello che non ci sono soldi e si elogia il Governo quando si trovano, come riguardo per alcuni rispetto ad altri. Non sempre nella stessa sequenza, al fine del consenso condiviso. Così a colpi di proposte almeno si apre la porta a 15 categorie di lavoratori da esentare da quota 67 per l’età minima di pensionamento. Si apre anche alla possibilità di considerare 30 anni di contributi (invece di 36 anni come per l’Ape social) e di aver svolto il lavoro gravoso almeno sette anni negli ultimi dieci, al pari dei lavori usuranti (e non sei anni nell’arco di sette). In sostanza, i lavoratori in oggetto potrebbero uscire con gli attuali 66 anni e 7 mesi anche dopo il 2018. E sono le 11 categorie dell’Ape social (tra cui maestre, infermieri turnisti, macchinisti ed edili) più le 4 new entry dei braccianti, siderurgici, marittimi e pescatori.
Il tavolo di lavoro però non è chiuso, dato che rimangono ancora fuori lavoratori come ad esempio la polizia locale o autonomi fuori dal perimetro perché non presi in considerazione; pensiamo agli artigiani o agli imprenditori.
Altro aspetto sul pacchetto di emendamenti alla Legge di bilancio è la revisione del meccanismo di calcolo per l’adeguamento dell’età alla speranza di vita, a partire dal 2021. Si propone di correggere portandolo a due anni, dai 3 di oggi. Ciò consentirebbe di rivedere al ribasso l’aspettativa, scalando il tempo, in forma posticipata dal calcolo del biennio successivo, in presenza di una riduzione della longevità.
Insomma, fare i conti con la realtà non piace. Sul tema spicca ai nostri giorni l’ironia di varie vignette che ci fanno sorridere su persone anziane ancora a lavoro e credo che in molti, pensando al ritiro dall’attività lavorativa, si chiedono come poter anticipare quel momento per godere della vita che rimane, in libertà abbandonando obblighi e doveri.
Mi auguro che il dato tendenziale appena registrato di +1,8% del PIL, il più alto dal secondo trimestre del 2011 da oltre sei anni, non faccia invertire la rotta e credere di poter tornare austeri perché è ripartita la crescita.
Di fronte al benessere delle persone occorre rimanere vigili e avere il coraggio di difendere i più fragili, non dando mai l’impressione di favorire qualcuno, ricordando che la giustizia sociale è parte del sistema valoriale di un Paese civile.
Io, comunque, per non andare in pensione a 67 anni mi sto organizzando. E voi?
Maria Luisa Visione