Combattiamo la povertà dai tempi dei tempi.
Eppure, negli ultimi cinque anni, avevamo visto che il trend assunto dal fenomeno non prometteva nulla di buono. Questo è vero, purtroppo, anche per il nostro Paese, in Italia. L’ho scritto proprio su questo spazio, denunciando i dati preoccupanti del 2015, e anche dopo, ritornando sul tema più volte, per mettere in evidenza l’inaccettabilità della povertà sempre, ma, assolutamente, nella fascia adolescenziale.
Proprio questa fascia di età è la più colpita e la più fragile.
Leggo da dichiarazioni autorevoli che la curva del PIL negativo, ormai ai livelli del 1993, si può contrastare con l’investimento più importante di tutti: l’istruzione, insieme alla ricerca e allo sviluppo, armi potenti in grado di ricontestualizzare le potenzialità e le risorse di un Paese, per favorire sviluppo e crescita.
C’è un legame stretto tra povertà economica e povertà educativa, camminano insieme.
Il famoso obiettivo al 2030 di ridurre, se non azzerare, in modo significativo la povertà estrema vacilla dopo il Covid 19, mettendo in conto decine di milioni di “nuovi poveri”, per i quali mancano sistemi di protezione sociale adeguati.
I numeri li danno le Nazioni Unite, con una proiezione dell’8,2% di tasso globale al 2019, che, stante le attuali condizioni si attesterà sull’8,8% per l’anno in corso. Stiamo parlando di povertà estrema, quella per la quale tutte le anime della Terra sono chiamate a dare aiuto. In altri termini, la stima è che circa 71 milioni di persone in più vivranno in povertà estrema a causa del Covid 19. In pole position ci sono Asia meridionale e subsahariana, nonché l’Africa (Fonte: The Sustainable Development Goals Report 2020).
Certo in quei Paesi la situazione è gravissima. Ma se ci soffermiamo emerge un fenomeno, già in circolo, che questa pandemia ha accentuato. Si tratta della povertà lavorativa e riguarda tutti, anche i Paesi più sviluppati, in particolare i giovani che sono esposti maggiormente quando non ricevono salari adeguati e vivono di continue interruzioni lavorative. Per stare ai dati, nel mondo nel 2019, il 12,8% dei lavoratori tra i 15 e 24 anni vivevano in povertà, rispetto al 6,3% dei lavoratori di età superiore ai 24 anni. E dopo questa pandemia i numeri per i giovani lavoratori non potranno certo migliorare.
Quindi, mentre si cercava di azzerarla, la povertà ha ripreso piede.
Cosa ci insegna allora quest’emergenza sanitaria?
Solo sistemi di protezione sociale forti possono mitigare gli effetti di una crisi così importante. Sistemi che vanno costruiti prima, pensando a come tutelare il lavoro e i più fragili, uscendo dallo schema dell’assistenzialismo, ma entrando in una dinamica di supporto concreto per combattere ulteriori disastri e conseguenze. La povertà è uno di questi disastri per me, perché dimostra che una Nazione per quanto evoluta, non ne è indenne, anzi.
L’effetto virus mette allora in luce anche qui le grandi differenze tra i Paesi del Mondo, tra chi ha copertura e chi non ne ha affatto, ancora una volta colpendo in maniera sproporzionata i Paesi meno sviluppati, visto che “piove sempre sul bagnato”.
Conteremo anche i nostri numeri sulla povertà appena avremo dati disponibili.
Tra i vari bollettini economici non incoraggianti e questa crisi che ricomincia a mordere, ripensiamo il nostro modello socioeconomico per essere un Paese pronto ad affrontare anche il nemico più inaspettato.
è davvero tempo di farlo. Le fragilità che emergono sono esiti di un “ieri” che chiede un ripensamento ormai doveroso.
Maria Luisa Visione