Il lavoro non è più al centro dell’esistenza per metà degli Italiani

Come il lavoro occasionale influenza la prestazione pensionistica

Come conciliare soddisfazione lavorativa e retribuzione?

È un argomento centrale in una società che ha visto profonde trasformazioni nel mondo del lavoro. Una società in cui la percezione del benessere non è più e soltanto legata al lavoro “sicuro”.

Il tema delle “Grandi dimissioni” nato negli Stati Uniti si è fatto strada anche in Italia e le motivazioni che inducono i lavoratori occupati a lasciare la propria azienda sono legate sempre di più alla mancanza di prospettive future e al ruolo assunto. Complice dell’insoddisfazione di certo è anche lo stipendio basso, ma l’ambiente lavorativo poco stimolante, non riuscire a conciliare i tempi del lavoro con le esigenze della vita privata, non avere l’opportunità di crescere professionalmente, spingono a cercare altre soluzioni, nonostante, ricollocarsi non sia affatto semplice in Italia.

L’indagine Censis 2025 “L’engagement per favorire la produttività” entra nel vivo della questione intervistando i lavoratori dipendenti: quattro lavoratori su dieci vorrebbero più benessere e condizioni di lavoro migliori; il 32% benefit aziendali e oltre un quarto maggiore flessibilità oraria e smartworking. 

Il cambiamento epocale è che, se il lavoro resta al centro della vita per gli over 55, non è così per la fascia di età compresa tra i 18 e i 44 anni. È la fase della vita in cui il capitale umano ha il massimo motore per esprimersi ed evolversi. La conseguenza diretta è che i più coinvolti nel lavoro non sono i giovani. In qualche modo il valore identitario riconosciuto al lavoro che ha caratterizzato i miei genitori e anche la mia generazione, sta mutando morfologia. È un cambiamento sociologico al quale dare diverse interpretazioni.

Eppure, nell’indagine Censis si legge che, uno dei fattori che porta una persona a perdere interesse per il proprio percorso professionale, è il disallineamento tra le competenze acquisite e le richieste di lavoro. Fattore che pesa di più sui 18-34enni rispetto agli over 55. Questi ultimi dimostrano più coinvolgimento e maggiore stabilità emotiva nel rapporto con il lavoro.

In sostanza viene avanti un distacco. Non essere coinvolti credo che porti naturalmente a cercare la gratificazione al di fuori e a considerare con più facilità di cambiare lavoro. Se da parte dell’azienda significa considerare l’impatto del fenomeno sulla produttività e sulla qualità delle prestazioni, insieme al pericolo di essere esposti a un aumento del turnover, per il lavoratore è la motivazione l’unica vera leva che genera coinvolgimento.

Insomma, è un cambio di marcia generazionale. Non soltanto il lavoro per il lavoro, per avere la sicurezza, ma il lavoro in cui sentirsi valorizzati e coinvolti.

Penso che sia sempre il sistema di valori la vera chiave per costruire una migliore qualità del lavoro e della vita. Da una parte impegnarsi ed essere disposti al sacrificio rimane importante, almeno per come sono cresciuta io. Dall’altra, però, avere le condizioni nel posto di lavoro per essere motivati a sentirsi parte di un progetto e non solo esecutori, fa la differenza. Oltre che ricevere la retribuzione adeguata che rimarrà sempre fondamentale per l’allineamento con le proprie competenze.

Altrimenti si rischia di andare a lavorare solo per necessità, aspettando di sentire la campanella per uscire.

Maria Luisa Visione