Si riaccende il dibattito sull’efficacia del reddito di cittadinanza che deve fare i conti con il suo consuntivo a due anni dall’introduzione, e le conclusioni aprono una serie di riflessioni.
Dallo studio della CGIA di Mestre appena pubblicato emergono due elementi di valutazione.
Il primo riguarda il costo sostenuto dallo Stato, “esorbitante” rispetto a un’assunzione di lavoro a tempo pieno di un operaio privato: più del doppio, 52.000 euro spesi contro 25.000 euro che è il costo standard. Il secondo elemento è relativo alla natura della misura, che avendo trasformato in posti di lavoro effettivi solo 152.000 su 3 milioni e mezzo di percipienti, non ha assolto alla funzione strategica di misura promozionale di welfare (dati Inps ad agosto 2021). Entrambi gli aspetti sono determinanti per decidere quali correttivi apportare dato che il fine ultimo dovrebbe essere combattere la disoccupazione e la povertà con l’obiettivo di restituire dignità alla persona che, attraverso il lavoro, partecipa alla vita economica e contribuisce allo sviluppo della società, allontanandosi dalla deprivazione materiale e dall’esclusione sociale.
Nello studio si legge che, secondo l’ANPAL, coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza sono difficilmente occupabili perché hanno un insufficiente esperienza lavorativa pregressa e un equilibrio psicofisico precario.
Spesso pensiamo che solo in Italia si trovino escamotage per percepire sussidi e poi lavorare a nero, ma in realtà accade anche in paesi come la Francia o la Germania, dove la corsa ad accaparrarsi “aiuti di Stato” è all’ordine del giorno. Su questo occorre interrogarsi (a partire dai cambiamenti di residenza in avanti) riguardo a qualsiasi espediente utilizzato per godere di denaro che nasce con scopi diversi e che magari alla fine non arriva proprio a coloro che ne dovrebbero avere diritto.
Occorre interrogarsi perché si mette nel calderone tutto con una lente che restituisce una visione distorta, sottraendo l’importanza del valore di supporto dei più deboli alla funzione fondamentale dello Stato. Dal mio punto di vista non è solo una questione di coscienza, è esito di uno spostamento morale verso una normalità assolutamente distante da ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
L’altro aspetto sulla difficoltà ad occupare persone che si devono riadattare non mi convince affatto perché penso che queste ultime rappresentino solo una percentuale, e comunque la strada si trova se si vuole. Ma anche perché là fuori c’è tutto il nostro patrimonio naturale, geologico e architettonico da tutelare, che chiede mani e aiuto per essere sistemato, ma rimane indifeso.
La verità è che non funzionano i controlli. E non funziona neanche la macchina che dovrebbe trasformare il sussidio in occupazione.
Quindi, fermo restando che non si possono eliminare comportamenti derivanti da tornaconti personali, occorre che siano efficaci i controlli: dall’erogazione del reddito di cittadinanza in avanti.
Altrimenti la spesa pubblica non ottiene lo scopo alto e fondamentale di contribuire allo sviluppo umano e sociale e ci dimentichiamo anche perché siamo una collettività. Oltre che, sentire che alcuni datori non trovano lavoratori perché le persone preferiscono stare a casa e avere il sussidio, diventa una finestra veramente triste su questo mondo già abbastanza malconcio.
Maria Luisa Visione