Ritorna in auge il tema delle dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico.
Il processo di privatizzazione immobiliare fu avviato per la prima volta con la Legge Finanziaria del 1990.
La motivazione di ieri è la stessa di oggi: risanare la finanza pubblica! La stima degli effetti finanziari sul bilancio pubblico traducibili in entrate, derivanti dalla vendita di immobili ritenuti inservibili per lo Stato e dalla migliore gestione economica del demanio pubblico, per l’anno 1990 ammontava a 500 miliardi di lire e a 1.000 miliardi per il 1991 e il 1992.
Scavando nella storia ho ripercorso numerosi tentativi legislativi finalizzati a strutturare il processo, come quello della creazione di una società immobiliare ad hoc, la società IMI, partito nel 1992 e fallito dopo cinque anni o quello del 1996 di far confluire i beni di maggiore rilevanza in fondi immobiliare pubblici.
Mi ha colpito il parere della Corte dei Conti sul periodo 1992-1998 in merito all’analisi delle carenze e delle difficoltà tecniche del sistema italiano nella ricognizione e registrazione del patrimonio immobiliare dello Stato, punto di partenza per una gestione efficiente dello stesso. Alla lettera, la Corte dei Conti concludeva:
“Il panorama che se ne ricava è quello di un’amministrazione che spesso ignora tanto il valore di ciò che amministra, quanto l’esatta individuazione dei beni nominativamente intesi.”
Cosa è cambiato dopo il 2000?
Si snellisce il processo amministrativo e burocratico e si supera la fase di stallo precedente con una manifestazione chiara del Governo di voler procedere ad una massiccia dismissione del patrimonio immobiliare con la creazione di società veicolo per la cartolarizzazione, attuando la volontà di conseguire gli obiettivi del Patto di Stabilità Europeo, al fine di rendere credibile il processo (legge n. 410 del 23 novembre 2001).
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, oggi il patrimonio immobiliare dello Stato, considerando solo i beni di valore superiore a 1 milione di euro vale circa 283 miliardi di euro (stime MEF). Mentre, nel suo complesso, le proprietà delle Pubbliche Amministrazioni Italiane si attestano intorno a 476 miliardi di euro (Istat 2018).
Dopo aver negoziato con Bruxelles, a dicembre è stato inserito nella Legge di Bilancio il programma di dismissione del Governo che stima di portare a casa nel 2019 circa 950 milioni di euro. Non sono molti soldi rispetto ai miliardi che servono per mettere a posto i conti pubblici come chiede l’Europa. Si tratta di vendere ex caserme, ex carceri, edifici costieri, caselli, piccole stazioni, ex stabilimenti industriali e militari dismessi, ex aeroporti, terreni agricoli ed edificabili. Ma anche edifici cielo-terra, appartamenti, posti auto; un po’ di tutto insomma, spesso a valore di mercato esiguo.
Pensate che i 950 milioni di entrata pubblica stimati sono la stessa cifra destinata dalla Legge di Bilancio del 2017 per il Piano di riduzione del rischio sismico degli immobili pubblici.
Per restare in Toscana a Lucca, nel 2017, fu consegnato, dopo essere stato restaurato, al Liceo Musicale Statale “Passaglia” il Convento di S. Agostino, un edificio bellissimo e a Firenze sono in corso di completamento i lavori per rendere la ex caserma De Laugier, storico Convento di San Girolamo, la sede operativa del Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica, con un investimento di 13 milioni di euro.
Ma sono davvero pochi gli interventi di valorizzazione a confronto con il valore architettonico e di bellezza artistica di beni storici straordinari ormai in disuso che tutti possiamo vedere facilmente, dislocati dentro e intorno alle nostre città.
Un trade-off difficile, quello di tenere conto della nostra storia e di essere consapevoli del valore unico e irripetibile del patrimonio immobiliare pubblico, (come evidenziava la Corte dei Conti) e la continua mancanza di soldi per rispettare le regole europee sui conti pubblici.
Maria Luisa Visione