I programmi gestionali in Italia sono in continuo aumento, ma non sempre le imprese approfittano delle soluzioni a disposizione per ottimizzare il proprio business, semplificando procedure e gestione aziendale. Ad esempio, nel settore del turismo c’è ancora una quota del 34 per cento di agenzie di viaggio che non usa software all’avanguardia.
I gestionali nel turismo. Il dato è stato rivelato nel corso di un evento dedicato proprio alle innovazioni, e intitolato “Non chiamateli software gestionali”, organizzato nell’ambito della Bit di Milano; i numeri parlano chiaro, perché su circa 8.500 agenzie di viaggio diffuse sul territorio nazionale almeno 2.900 non hanno un gestionale. Ancora più grave, sul versante della capacità di stare al passo coi tempi, è scoprire che nell’8 per cento dei casi il semplice programma Excel del pacchetto Office sia ritenuto un valido gestionale.
I programmi all’avanguardia. In realtà, andando a guardare la realtà dinamica dell’evoluzione del mercato dei programmi dedicati espressamente alla gestione del business si scopre che esistono soluzioni molto più all’avanguardia e utili per gli imprenditori, a cominciare dai software gestionali Danea, che sono tra i preferiti delle Pmi italiane dei settori più disparati per le loro funzionalità e facilità di utilizzo della piattaforma.
Andare oltre Excel. Oggi infatti questi strumenti si rivelano degli alleati strategici e indispensabili per chi voglia applicare un sistema di gestione moderno al proprio business, mettendo da parte il vecchio archivio cartaceo dei libroni contabili per sostituirlo non con un programma “qualsiasi” (nel caso di Excel, un software di sicuro utilissimo ma che, in sintesi, consente di realizzare semplicemente tabelle e calcoli), ma con piattaforme digitali all’avanguardia che portano benefici a tutte le fasi e i processi dell’impresa.
Le startup in Italia. La questione relativa alla capacità delle imprese italiane di intercettare il cambiamento non si limita ovviamente soltanto all’adozione di questi sistemi, ma anche (e più in generale) all’innovazione presente in azienda: secondo gli ultimi risultati rivelati da un’indagine Istat e Mise sulle startup nate in Italia a partire dal 2016 (ovvero, dopo l’approvazione dello “Startup Act italiano” con il suo pacchetto di agevolazioni ad hoc), nel nostro Paese si contano 5.150 startup innovative iscritte nella sezione dedicata del registro delle imprese.
Forti investimenti in R&S. Approfondendo i dettagli dello studio, condotto su un campione del 44 per cento delle aziende in questione, si scopre che i tre quarti dei soci di queste imprese hanno la laurea (e nel 16 per cento dei casi anche il dottorato di ricerca), c’è una diffusa conoscenza dell’inglese (e spesso anche spagnolo e francese) e, infine, riservano quasi la metà delle spese a ricerca e sviluppo. Soprattutto, in contrasto rispetto al tradizionale mismatch tra patrimonio di conoscenze e mansioni che contraddistingue il sistema imprenditoriale italiano, nell’88 per cento dei casi i dipendenti di startup svolgono mansioni coerenti con il proprio percorso di studi.
Attenzione all’innovazione. Detto degli elevati livelli di investimenti in ricerca e sviluppo, un altro ambito su cui gli imprenditori di start up focalizzano la propria attenzione è, inevitabilmente, l’innovazione: 74 imprese su 100 di questo settore hanno infatti realizzato innovazioni di prodotto o servizio, con il 65 per cento del campione che si impegna per ottimizzare prodotti o servizi già esistenti e una quota del 48,5 per cento che invece tenta di introdurre novità radicali. Infine, più del 37 per cento delle start up italiane si dedica a innovazioni di processo, soprattutto quando la quota di fatturato è maggiore.