Economia

Involuzione preoccupante per l’Italia nel gender gap

Due mondi diversi che si incontrano e scontrano nel comunicare, nel sentire, nel modo di vivere le emozioni e di amare: uomini e donne, da sempre opposti, eppure complementari. Come narra efficacemente John Grey nel suo famoso libro Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere! (da tenere assolutamente sul comodino, soprattutto quando nei rapporti di coppia noi donne abbiamo bisogno di parlare, mentre gli uomini vorrebbero ritrarsi in caverna, in solitudine).

Il gender gap è presente in tutto il mondo e racconta differenze di genere sostanziali sul fronte demografico, del lavoro e delle retribuzioni che, spesso, ancora oggi determinano un divario in opportunità e status, che non nasce solo dalle attitudini.

Il nostro Paese involve sulle differenze di genere nel 2017, regredisce secondo il World Economic Forum che certifica come nella classifica globale stilata per quest’anno precipitiamo di ben 32 posizioni, crollando all’82/mo posto su un totale di 144 Paesi presi in esame.  Ancora più preoccupante è la dinamica che riguarda l’aspetto delle retribuzioni sulla percezione della parità salariale; siamo al 126/mo posto su 144 Paesi. Tanto che la previsione internazionale sul quando si raggiungerà tale parità è di ben 217 anni.

Ora potrebbe sembrare per alcuni il solito discorso non corrispondente alla realtà, dal momento che tanto è cambiato rispetto al passato. Proviamo quindi a snocciolare qualche dato circostanziato (fonte Istat).

E’ proprio la vita quotidiana delle donne e degli uomini in Europa che si assomiglia e differisce. In tutti gli Stati membri in media le donne lasciano la casa dei genitori due anni avanti agli uomini, si sposano prima e vivono di più. Ci sono 105 donne ogni 100 uomini; il contrario accade solo a Lussemburgo, Malta e in Svezia. Il numero di donne che vivono sole con i figli è sette volte superiore a quello degli uomini. Entrambi i sessi sono egualmente soddisfatti della propria vita. Invece, il gentil sesso si distingue nei livelli di istruzione superiore anche se sul tasso di occupazione 2016 è staccato di ben 11 punti (72% uomini – 61% donne) e tale margine aumenta in presenza di più figli. Il 32% delle donne lavora part-time contro il 9% degli uomini. Rispetto alla posizione di manager, in nessuno degli Stati membri le donne superano il 50%, attestandosi al 33%, e guadagnano in media il 16% in meno in ogni posizione lavorativa, anche se è proprio nella carriera manageriale che emergono le maggiori differenze salariali.

Snocciolando i dati Istat, quanto certifica il World Economic Forum per l’Italia deve farci riflettere. Il processo di involuzione è culturale e, se non ci riconosciamo in una classifica così poco gratificante, solo le nostre azioni potranno fare la differenza. Se i dati ci dicono che nonostante i titoli di studio più alti costituiscano, in genere, maggiore garanzia di accesso al mondo del lavoro, sono ancora molto bassi i tassi di occupazione delle donne, su questo dobbiamo decidere come cambiare strada. Superare i luoghi comuni e riconoscere alla diversità che ci appartiene fin dalle origini la portata di diventare elemento valoriale per evolvere il nostro modello sociale culturale.

Provando a non aspettare altri due secoli per avere come essenza la persona, non il genere.

Maria Luisa Visione

Francesco Laezza

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