Economia

Istat: scompaiono le tradizionali classi sociali 

Un’Italia che cambia, che possiamo provare ad immaginare, come suggerito nel Rapporto annuale 2017 dell’Istat frammentata all’interno di un rione, dove convivono differenze economiche e sociali. 25 milioni di famiglie che attraverso l’approccio statistico diventano 9 gruppi di riferimento in cui identificarsi.

La posizione professionale rappresenta ancora la variabile guida per delineare l’identità sociale?

La classificazione, in realtà, è di tipo trasversale e tiene conto di tre diversi aspetti:

  • Componente economica – reddito, condizione occupazionale;
  • Componente culturale – titolo di studio posseduto;
  • Componente socio demografica – cittadinanza, dimensione della famiglia, ampiezza demografica del comune di residenza.

Quindi, è il risultato della combinazione delle diverse componenti che definisce il gruppo sociale di appartenenza. Particolare che attribuisce al reddito il ruolo di misura equivalente, cioè in grado di  considerare la diversa ampiezza e composizione per età delle famiglie. Famiglie diverse avranno necessità economiche diverse.

Così vengono coniati i blue-collar, giovani con bassa scolarizzazione, età media del percettore di reddito 45 anni, per lo più operai a tempo indeterminato nei servizi (call center, persona, distribuzione commerciale). Rientrano nelle Famiglie con reddito medio, insieme agli Operai in pensione, gruppo più corposo, con al massimo la licenza media e 72 anni di media, per il ritirato.

Le Famiglie a basso reddito si dividono, invece, in Famiglie di soli italiani, numerose con figli; Famiglie tradizionali della provincia (gruppo più esiguo) in cui domina il modello cosiddetto del male breadwinner, ovvero chi porta a casa il reddito è nove volte su dieci uomo; Famiglie con stranieri (almeno uno), gruppo più giovane e titolo di studio in media più elevato; Famiglie di anziane sole e giovani disoccupati, che condividono l’inattività, ma non l’età. Sono famiglie tutte diverse, che però hanno in comune il rischio povertà, più vicino o più lontano, non importa.

Ci sono poi le Famiglie benestanti, classificate in: Famiglie di impiegati, Pensioni d’argento e Classe dirigente, categorie con livello di istruzione e reddito più alti. Insieme rappresentano il 34,3% del totale famiglie.

Tuttavia, ciò che è davvero mutato, non è la terminologia, ma la sostanza. Nell’analisi, le famiglie con persona di riferimento (percettore di reddito) fuori dal mercato del lavoro sono complessivamente il 45,1%.

Si sono acuite le disuguaglianze tra le classi sociali e al loro interno. La classe operaia che fotografava la spinta all’equità sociale non esiste più e la classe media, non guida più l’evoluzione sociale e il cambiamento. Oggi i percorsi lavorativi sono precari e spesso frammentati; l’occupazione non sempre corrisponde al titolo di studio conseguito; una fetta di lavoratori importante, di giovane età, spesso è esclusa dal mondo del lavoro. I parametri non sono più quelli di un tempo: un lavoratore a tempo indeterminato, se ha scarso reddito, non fa più parte della Famiglia impiegati ma dei Giovani blue collar. Come si legge nel rapporto, “La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi”.

Distanze generazionali e intergenerazionali che si amplificano, mentre scompare l’identità di classe.

Maria Luisa Visione

 

 

Francesco Laezza

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