La frase che più di tutte sento dire da molto tempo è “Niente sarà mai più come prima”.
In questa difficoltà di ripensare noi stessi oltre al mondo in cui viviamo, mi pongo diverse domande, e mi sembra che ci sia una sorta di legame tra la nostalgia disillusa del passato e i tanti desiderata del futuro che ognuno di noi oggi propone nell’immaginare che “domani sarà diverso”.
Prendo spunto dal passaggio citato nella Relazione annuale di Banca d’Italia, appena pubblicata, dal Governatore Visco, in riferimento allo sconvolgimento causato da questa pandemia, così unico nel suo genere, nella sua natura e nei suoi effetti.
Viene citato il grande economista John Maynard Keynes che ottant’anni fa scriveva “… la migliore garanzia di una conclusione rapida è un piano che consenta di resistere a lungo … un piano concepito in uno spirito di giustizia sociale, un piano che utilizzi un periodo di sacrifici generali non come giustificazione per rinviare riforme desiderabili, ma come un’occasione per procedere più avanti di quanto si sia fatto finora verso una riduzione delle disuguaglianze”.
L’interpretazione delle parole è sempre soggettiva; la mia si sofferma soprattutto sul resistere a lungo, sulla giustizia sociale e sulla riduzione delle disuguaglianze, perché a ciò dovrebbero ispirarsi le riforme desiderabili: alla tutela indissolubile di tutti.
Ecco, in quel “Niente sarà mai più come prima”, vorrei che venisse ripensato profondamente il meccanismo pubblico di difesa economica della salute, perché quella del sistema sanitario ne è la naturale conseguenza, facendo tesoro dei giorni bui.
Visco ci invita a ricordare i punti di forza della nostra economia: le infrastrutture di rete che hanno retto all’inatteso, la bilancia dei pagamenti in avanzo, il debito netto con l’estero pressoché nullo, la ricchezza reale e finanziaria delle famiglie elevata con un livello di indebitamento tra i più bassi al mondo, il sistema finanziario rafforzato rispetto alla vigilia della crisi finanziaria globale. Insomma, è tempo di innovare le attività produttive, migliorare l’ambiente, intervenire in modo risoluto per innalzare in modo sostanziale la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici. Non da ultimo, ci ricorda che bisogna investire di più nella cultura, nella conoscenza, nella ricerca e che serve un nuovo rapporto tra Governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni e società civile, basato sul dialogo costruttivo delle diverse competenze.
Intanto, la Corte dei Conti, nell’ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, fa un’analisi di approfondimento su come la concentrazione delle cure nei grandi ospedali verificatasi negli ultimi anni e il conseguente impoverimento del sistema di assistenza a livello locale, abbiano lasciato la popolazione italiana “senza protezioni adeguate” di fronte all’emergenza Covid.
In sostanza, davanti a una sfida della portata pandemia, se vengono meno le risorse pubbliche le risorse private delle famiglie non risultano sufficienti, anzi il primo fronte, quello territoriale, secondo i magistrati si è trovato disarmato. Tra le evidenze della Corte dei Conti c’è la fuga dei medici che si sono formati in Italia, ma che sono andati a lavorare all’estero, a causa della mancanza dei posti di lavoro e dei bassi stipendi.
Io credo che se mettiamo insieme le parole di Keynes e quelle della Corte dei Conti, tra le cose da immaginare ancora dobbiamo mettere in cima alla lista la salvaguardia inderogabile del diritto alla salute di tutti.
Mi piacerebbe credere che questo diritto sia sempre difeso economicamente, prima dell’arrivo di una pandemia o di una guerra, con una balaustra gigante in risposta alle parole “non ci sono soldi”.
Maria Luisa Visione
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