È un po’ come una di quelle partite dove viene concesso un rigore alla squadra avversaria e tutto lo stadio fischia prima della trasformazione. Sembra tifo ma è paura.
Un po’ come le canzoni alla finestra, i “finirà tutto bene”, i “ma dopo saremo migliori”: no, mi dispiace, saremo solo più vulnerabili e più poveri. Certamente più impauriti e meno sociali. Certamente più cinici e meno bonaccioni, certamente più nazionalisti e meno europei.
Perché questo virus, oltre a portare in evidenza la grandissima capacità degli italiani di cementarsi e tirare fuori il meglio di loro bei momenti di pericolo e bisogno, ha dichiarato, impietosamente, la fine di due mondi.
Quello dell’Europa e quello dei burocrati e delle finanza gestita da vitrei schemi.
La finanza ci sta dicendo che essa è funzionale ai bisogni quando vengono rimosse tutte le gabole e i laccioli che l’avviluppano.
Non sempre i numeri fotografano i bisogni e le capacità di fare sviluppo: il contatto, la conoscenza e l’esperienza contano di più e a loro, in futuro, dovrà essere ridata una parte importante nella concessione del credito.
Perché sul credito si basa lo sviluppo e sullo sviluppo si basa il benessere di una nazione e dei suoi cittadini: Basilea 3, i rating e la gestione demandata ai soli numeri vanno parzialmente rimossi, come rimossa (totalmente) deve essere la burocrazia.
In poche ore gli italiani hanno dimostrato che in dieci giorni si può fare un ospedale mentre la burocrazia ci ha fatto vedere come in due anni non si riesca a mettere in sicurezza un ponte sulla Magra.
L’Europa perché, al bisogno, si è dimostrata quello che è: un moloch di regole ingessato su se stesso e vittima di giochi di (basso?) potere in mano a staterelli che non sono in grado di gestire l’eredità dei grandi statisti che l’Europa l’avevano pensata.
Un’Europa che si affanna a normare sulla lunghezza delle acciughe o l’impasto della pizza ma che non interviene con azioni incisive e durissime nei confronti della più grande minaccia dalla fine del secondo conflitto mondiale: un’Europa che ha avuto tempo di porre regole su tutti ma che ha dimenticato la cosa più importante: la tutela e la salvaguardia degli europei.
Solo i popoli, uniti e compatti, hanno dato dimostrazione di solidarietà, caparbietà e unione: non gli Stati, non i governi, non i partiti.
Parafrasando un grande italiano sarebbe da dire che “ abbiamo fatto gli europei adesso bisogna fare l’Europa”.
Viva l’Italia.
Luigi Borri
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