Bankitalia: riflessioni e punti da chiarire su crediti deteriorati e innovazione.
“E’ molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati”
Massimo Catalano, il filosofo dell’ovvio, è sempre stato il mio preferito: un vademecum di scontata saggezza, un Bignami di “savoir vivre” che fa impallidire ogni teoreta dell’esistenza, al suo cospetto. Niente però in confronto all’ovvia ripetitività della relazione di Bankitalia, che ho ascoltato e letto con attenzione.
Si dice che “il problema del sistema sono i crediti deteriorati” e che una possibile via d’uscita è “innovare per rilanciare produttività”. Catalano non avrebbe potuto fare di meglio. Tutto ciò perché a fine 2016 il macigno dei “non performing loan” ( crediti deteriorati) era pari a 173 miliardi di euro, e pertanto non è più gestibile dal sistema che li ha generati.
A chiosa si auspicava un intervento dello Stato.
In parole povere si dice che siccome chi ha dato i soldi ha sbagliato ( e chi doveva controllare – cioè Bankitalia- non lo ha fatto in maniera puntuale e precisa) si lancia la palla nella metà campo del pubblico e si “auspica” un intervento ad ombrello finanziato dai cittadini per rimettere in pari il sistema.
Chiariamoci su un punto: la tutela del sistema è cosa precipua (il risparmio è difeso dalla Costituzione) e l’intervento pubblico è fondamentale per riallineare le cose. Occorre però che tutto questo avvenga in presenza di emersione di precise responsabilità da parte di chi ha minato il sistema e di chi ha fatto in maniera tale che ci sia stato chi si è arricchito indebitamente e chi, per contro, dovrà pagare per coprire le nefandezze.
Responsabilità ed azioni da tradursi in recuperi di denari e pene da infliggere. Altrimenti si ha l’impressione che sia un colpo di spugna che non serve a niente. Siccome in economia niente si crea e niente si distrugge sarebbe cioè opportuno far emergere i soggetti che hanno beneficiato dei finanziamenti non restituiti e che una parte di essi fossero ripagati da chi ha intascato, artificiosamente, i guadagni. Solo in via sussidiaria quindi agire sulle tasche dei cittadini.
Si parla poi di innovazione per uscire dall’impasse. Giusto. Mi viene di precisare però che l’innovazione la si fa se il sistema finanziario fa la sua parte: con Basilea 3 e la rigidità imposta chi può innovare in assenza di banche che finanziano?
Chi investe in innovazione quando la tassazione sulle imprese è ben sopra al 60%, mentre le rendite finanziarie sono tassate a meno di un terzo? Questi i quesiti da risolvere, questi i punti da chiarire perché altrimenti le indicazioni di Bankit rischiano di essere parole vuote, belle di facciata ma inconcludenti da un punto di vista sostanziale.
Due quesiti sarebbe però opportuno porre a chi in questo momento dà soluzioni:
Perchè il sistema è fallito nonostante Bankit e Consob a controllare?
Perchè la finanza virtuale ha soppiantato l’economia reale, complici normatori e verificatori?
Viva l’italia.
Luigi Borri