La spesa pubblica da guardare in modo diverso: pensioni e istruzione

Entriamo nel mondo del sistema pensionistico pubblico e del rischio sistemico che guida l’intervento di riforme strutturali per mantenere l’equilibrio dei conti pubblici ed evitare che si verifichi una situazione in cui non si riesca a far fronte ai pagamenti delle prestazioni sociali in corso. Ci stiamo avvicinando a un rapporto pensioni erogate su contribuenti attivi vicino a 100, tematica che riapre il tema della sostenibilità, ma anche quello della necessità di aumentare il numero di lavoratori attivi, soprattutto giovani, vista l’attuale bassa natalità che ci caratterizza.

L’Italia ha un’incidenza della spesa previdenziale rispetto al PIL del 16,5%, contro una media dell’Eurozona del 12,6% (Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati OECD e Eurostat, 2021). Di contro, però, il valore della spesa per l’Istruzione incide solo per il 3,9% del PIL italiano, rispetto alla media Eurozona del 4,6%. In sostanza, spendiamo molto per la previdenza e poco per l’istruzione, nonostante, i valori delle prestazioni sociali minime italiane siano sulla soglia di povertà.  Per tradurre in numeri, oggi l’assegno sociale INPS, nella sua misura piena, ammonta a 468,11 € al mese e viene erogato per 13 mensilità. L’esempio vuole evidenziare che la causa dell’importante spesa previdenziale non è da attribuire alla funzione assistenziale – prevista a tutela di quei cittadini che si trovano in disagiate condizioni economiche – come confermato dalle rilevazioni Inps al 1° gennaio 2022 per cui le pensioni di natura assistenziale erogate sono il 22,4% sul totale.

Ogni volta che arriva una riforma previdenziale parte il treno politico dell’aumento della spesa pubblica, aspetto verissimo nel breve periodo. Tuttavia, a consuntivo, i dati cambiano. Sono appena usciti quelli relativi a Quota 100 che testimoniano minori adesioni del previsto e una spesa effettiva sino al 2021, e proiettata dal 2022 al 2025, di circa 23,2 miliardi di euro. Ovvero, inferiore di circa 10 miliardi di euro rispetto ai 33,5 stanziati dal DL 4/2019.

Allora, su questi dati, perché i numeri non mentono mai, è ormai tempo di fare una riflessione seria su quali siano realmente i fattori che determinano gli esiti. L’occhiale è spesso focalizzato sull’arrivo, l’assegno pensionistico nello specifico, ma invece dovrebbe esserlo sul punto di partenza. È indubbio che nella ricerca del lavoro pesi la formazione scolastica e il titolo di studio. Ma nel sistema contributivo pesano i versamenti effettivi: se partono tardi, perché si entra tardi nel mondo del lavoro, se non sono costanti, perché si hanno interruzioni, periodi di fermo, stage e lavori sottopagati, non si orienterà mai l’individuo a guardare al futuro.

Personalmente ritengo che aver perso lo sguardo al domani sia il più grande male della nostra epoca e che abbiamo una responsabilità nel guidare i giovani a riappropriarsi di una vita in prospettiva.

Nulla è mai un aspetto isolato, tutto è, invece, collegato. In questo mare di contraddizioni in cui, in generale, chi ha ancora tanto tempo da aspettare pensa che la pensione non arriverà mai, viene rilanciata l’ipotesi del riscatto di laurea gratuito per contabilizzare in anni di lavoro il periodo di studio. Ma, ancora una volta, è un problema di spesa, non di prospettiva, non di incentivo allo studio, non di adottare politiche civili e di spendere bene i soldi pubblici. Non di valorizzare l’istruzione.

Mentre aumentano la povertà assoluta e quella educativa.

Maria Luisa Visione