La violenza economica non la vedi. È subdola, si insinua tra l’autostima e il bisogno di coraggio. Ma se entri nei centri antiviolenza in cui vengono accolte le donne la puoi incontrare.
La violenza economica è negli occhi di alcune, occhi in ogni luogo geografico, spesso più vicini di quanto possiamo pensare. Oggi più della metà dei centri antiviolenza è distribuita solo su quattro Regioni: Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto. La violenza economica esiste e puoi incontrarla leggendo questo articolo, in storie di fantasie nate da fatti reali.
Vittoria è italiana e ha 38 anni. Ha trovato tante amiche coetanee nel centro; la metà di loro ha un’età compresa tra 32 e 49 anni. Non ha mai potuto contare su un reddito sicuro e questa condizione ha creato nella sua vita dipendenza dal compagno con cui ha avuto un figlio. Ha sempre delegato le sue decisioni sul denaro non avendo fiducia in sé stessa e nella possibilità di migliorare le sue competenze. Quindi, “eseguiva senza contare” perché non si poteva preoccupare di amministrare nemmeno i pochi soldi guadagnati, non essendone capace.
Vittoria nel centro ha incontrato Gaia, più giovane, e ha scoperto che non era da sola a subire quella sorta di controllo economico per cui chi opera questo tipo di violenza limita l’uso delle risorse finanziarie della vittima e il suo potere decisionale. Soldi guadagnati e lasciati sul comodino prima di tornare a lavorare. Una forma di sfruttamento economico alla lettera: qualcun altro li utilizzava a suo vantaggio. Gaia addirittura non aveva mai neanche avuto un suo conto corrente. Non è così strano: oltre un terzo delle donne in Italia non possiede un conto corrente.
Sento Vittoria e Gaia scherzare sulle parole ancora vivide nelle loro menti: “Come hai speso il denaro che ti ho dato?”. “Devi chiedere se vuoi utilizzare l’automobile”. “Pensa alla casa e ai bambini, che almeno lo sai fare”. Poi con le lacrime agli occhi Vittoria racconta di quando lui le ha rotto il cellulare e poi le ha detto: “Mi spiace ma non riesco a tornare in tempo, fissa un altro giorno per quell’occasione di lavoro”.
Scherzano sulle vite invisibili trascorse nella speranza che qualcosa cambiasse, illuse di un amore monopolizzante. Eppure, entrambe si sono sorprese quando hanno conosciuto Aurora, neolaureata che ha lasciato la sua brillante carriera di designer per restare a casa e crescere il figlio Luca. Inseguendo il sogno della famiglia e rimandando poi la ricerca del lavoro… “Tanto ci sono io, ci penso io non ne hai bisogno”. Un vero e proprio sabotaggio, spesso ripetuto, se Aurora cercava di evolversi, di studiare, di costruire la sua indipendenza economica.
Non stupiamoci: almeno 1 donna su 3 (34,6%) subisce violenza economica, a differenza della violenza sessuale e dello stalking agiti in un numero di casi più basso (16,9% e 16,3% rispettivamente, in base ai dati D.i.Re del 2023).
Siamo pieni di stereotipi. Nell’ultimo sondaggio di WEWorld la violenza economica è considerata molto grave solo dal 59% dei cittadini/e; Il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito nella vita almeno un episodio di violenza economica (67% tra le donne separate o divorziate); 1 donna su 10 dichiara che il partner le ha negato di lavorare; il 28% delle donne separate o divorziate dichiarano di aver subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere state consultate prima; quasi 1 italiano/a su 2 ritiene che le donne siano più spesso vittime di violenza economica perché hanno meno accesso degli uomini al mercato del lavoro.
Senza indipendenza salariale e senza un percorso di educazione finanziaria che favorisca l’empowerment femminile non ridurremo il problema strutturale e culturale della violenza economica.
A livello globale, 1,4 miliardi di donne vivono in paesi che non riconoscono la violenza economica nei loro sistemi legali o non forniscono protezione legale alle vittime di questa forma di violenza (EIGE, 2023).
Oggi, in questa giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, decidiamo di conoscerla, comprendendo che cos’è, senza rimanere in convinzioni radicate, spesso errate. Decidiamo di riconoscerla, perché esiste, in volti mascherati, in emozioni manipolate, in abusi non sempre manifesti, per cui bisogna aprire i nostri occhi e uscire da stereotipi di genere ancora troppo diffusi.
E soprattutto, decidiamo di combatterla, attraverso percorsi di educazione finanziaria dedicati che forniscano le basi necessarie a diventare libere finanziariamente.
Vittoria, Gaia e Aurora l’hanno fatto ed oggi sono volontarie in un centro antiviolenza. Sono la testimonianza che si può cambiare. Ma non in silenzio, dall’interno.
Hanno cambiato la loro situazione affrontando il mondo esterno, con coraggio e volontà, imparando che l’autodeterminazione economica è una porta di consapevolezza oltre la quale è possibile ritrovare sé stesse, finalmente “libere di decidere finanziariamente”.
Maria Luisa Visione