La violenza economica esiste e colpisce soprattutto le donne.

Voglio dedicare la consueta rubrica settimanale ad un fenomeno difficile da riconoscere, ma molto più diffuso di quanto pensiamo. Mi riferisco alla violenza economica che colpisce, in Italia, in particolare le donne.

Fenomeno che non dipende soltanto dalla fascia di reddito poiché trova la sua origine nell’essere uno strumento di potere che arriva ad impedire di occuparsi del proprio denaro e di avere un conto corrente; potere che si manifesta nel controllo delle spese personali, nella confisca di strumenti di pagamento e anche nel vietare di lavorare e di realizzarsi professionalmente.

Chi diventa vittima di tale abuso non ha alcuna libertà economica, deve continuamente giustificarsi, dare spiegazioni. È una forma di controllo per cui anche la più piccola spesa deve essere approvata e autorizzata. Controllo che si allarga alla sfera familiare, privando la vittima di qualsiasi autonomia e gratificazione.

La conseguenza del trovarsi in tale condizione è l’isolamento, la perdita di fiducia in sé stessi, l’annullamento della propria autostima.

Come si manifesta la violenza economica?

In una prima fase nel non avere accesso autonomo alle proprie finanze, non essere mai interpellati sulle decisioni finanziarie di investimento, accompagnando la vittima fingendo supporto. Da questa fase, dove il controllo è stringente, si arriva a pretendere rendiconti dettagliati delle spese, a non consentire l’accesso ai conti correnti e alla gestione del budget familiare, a tenere nascoste entrate, piuttosto che a gestire società o imprese familiari come faccende precluse e inaccessibili, non permettendo alcuna autonomia decisionale su nulla. Immaginiamo che la donna – maggiormente vittima di violenza economica – riceva un tanto al giorno (settimana o mese), tanto quanto deve bastare, e a volte meno, alla spesa stabilita per la famiglia e la casa. Non sono inclusi soldi per bisogni urgenti come medicine, visite, cure personali e/o bisogni dei figli, in quanto i bisogni primari sono mappati dall’altro, che così impone la sua superiorità economica. Non sono consentiti strumenti di pagamento come carte di credito o bancomat. In questa condizione ogni autonomia e accesso alle risorse economiche della famiglia è assolutamente precluso.

Cosa accade se la donna in questione ha un capitate ereditato?

Viene utilizzato, se non addirittura dilapidato, anche con obblighi a firmare documenti e contratti che nascondono trappole. Pensate che in alcuni casi si fa accedere la vittima a piccoli prestiti per vincolarla dal punto di vista creditizio, minandone la credibilità. Per non parlare del convincimento a fare da prestanome. Inoltre, un comportamento ricorrente è quello di svuotare il conto corrente e far sparite documenti importanti prima della separazione.

Quanto ho descritto potrebbe sembrare impensabile nel 2025. Invece, accade.

In Italia, circa il 37% delle donne non possiede un conto corrente (Fonte: Episteme).  Più di 1 persona su 4 pensa che i casi di violenza domestica dovrebbero essere prima di tutto affrontati all’interno della famiglia; la violenza economica è considerata molto grave solo dal 59% dei cittadini/e; quasi 1 donna su 2 (49%) dichiara di aver subito nella vita almeno un episodio di violenza economica e tra le donne separate o divorziate la percentuale sale al 67%; più di 1 donna separata o divorziata su 4 (28%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal suo partner senza essere stata consultata prima (Fonte: Report WeWorld 2024).

Percentuali che esprimono che il problema è culturale, viene sottovalutato o non osservato abbastanza da innescare un cambiamento ed evitare che tale forma di abuso si sommi ad altri tipi di violenza: sessuale, verbale, fisica, psicologica, con l’esito di sfociare in tragedia.

Per le donne che trovano accoglienza nelle case rifugio, la violenza psicologica viene agita nella quasi totalità dei casi; quella fisica oltre l’82%; quella economica nel 50%, e infine, quella sessuale nel 40% dei casi (Fonte: Report D.i.Re 2023).

Come combattere la violenza economica?

Proprio perché è sottovalutata, combatterla non è semplice. Ma si può. Attraverso percorsi formativi mirati che consentano di far evolvere le vittime, dotandole dello scudo economico e culturale, necessario a proteggersi, a prevenire gli abusi e a dare il coraggio per denunciare immediatamente.

In base agli ultimi dati del Report WeWorld, a livello globale, 1,4 miliardi di donne vivono in paesi che non riconoscono la violenza economica nei loro sistemi legali o non forniscono protezione legale alle vittime di questa forma di violenza.

Non chiudiamo gli occhi facendo finta che non esiste.

Maria Luisa Visione