L’avanzata delle donne nel divario di genere

Di divario di genere ne sentiamo parlare spesso. Note di colore rosa su una tematica che ha risvolti sociali importanti e molteplici impatti trasversali nell’economia avanzata in cui viviamo.

Merita dare notizia dell’audizione parlamentare appena presentata dall’Istat, con la quale l’istituto mette a disposizione materiali statistici alla XI Commissione della Camera dei Deputati, utili nella discussione delle diverse proposte di legge che riguardano la partecipazione femminile al mercato del lavoro e la conciliazione dei tempi di vita delle donne. 

Probabilmente in questi giorni non è all’attenzione mediatica parlarne, ragione per cui penso che, invece, occorra farlo.

In 40 anni abbiamo assistito a una diminuzione del divario di genere di ben 23 punti percentuali, dovuta a un riallineamento tra l’occupazione maschile, in calo, e quella femminile, in aumento, ma, nonostante ciò, in Italia la differenza rimane tra la più alta in ambito europeo (circa 18 punti su una media europea di 10).

Un aspetto molto bello che ha dato luce, durante questo arco di tempo, a formare l’identità della donna nel mondo del lavoro è la sua capacità di resilienza alle crisi, che la porta a uscirne prima, forse proprio per un’innata robustezza di comportamento nella fragilità che la sensibilità impone. Certo, le donne sono più presenti nei servizi, che come settore ha risentito meno della crisi, ma si sono fatte strada grazie al maggiore livello di istruzione; pensate che nel 2018 il tasso di occupazione delle laureate è risultato pari al 75,3%, a onore dello studio e della formazione.

E se è vero che oggi a 50 anni siamo solo all’inizio della sfida, le ultracinquantenni danno filo da torcere in tutti i sensi e dal 2007, inizio della crisi, hanno visto crescere il loro tasso di occupazione di oltre 20 punti, a fronte di una più lunga vita e, di conseguenza, dell’aumento dell’età pensionabile.

Tuttavia, all’uscita dagli studi, il differenziale rimane ancora a sfavore delle giovani donne, che, seppur più istruite, alla fine della corsa, arrivano a guadagnare meno. Ad esempio, nel caso del dottorato di ricerca, percepiscono 1.610 euro rispetto ai 1.983 degli uomini, con un divario medio di 373 euro (a sei anni dal conseguimento del titolo di studio).

Seppur per loro è più difficile trovare una collocazione sul mercato del lavoro adeguata al percorso di istruzione seguito, non mollano, e riducono il gap nelle posizioni di coordinamento dei lavoratori dipendenti, portandolo nel 2018 al 5,4%.

Nel settore pubblico persistono gli stereotipi barriera alle posizioni apicali, ma loro avanzano lo stesso: le donne magistrato in 23 anni sono passate dal 25,8% a oltre il 50%. 

Qualche curiosità politica: le donne sindaco nel 2019 sono 1.131; sono ancora poche nei consigli regionali e negli organi decisionali di rilievo quali Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura, Autorità di Garanzia, Consob, Ambasciatrici (in media solo il 16,8%).

Di contro, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa cresce a ritmo sostenuto, complici gli ultimi interventi normativi mirati, e rispetto a ieri, promuovere una donna al board di un consiglio di amministrazione adesso suona piuttosto normale.

In conclusione, permangono, in genere, per le donne lavori part-time, discontinui e paghe minori, oltre a un tasso di occupazione delle madri più basso di quello delle donne senza figli. 

Ma le nonne…, insieme ai nonni vero, sono il pilastro d’argento della famiglia e se la mamma lavora, il figlio che ha meno di 10 anni le trova accanto a lui, al focolare dei valori della vita. 

Maria Luisa Visione