Nel primo trimestre del 2018 il Reddito di inclusione in Italia ha raggiunto 110 mila nuclei familiari, ovvero 317 mila persone, concentrandosi in prevalenza al Sud (72%) e consegnando a Campania, Calabria e Sicilia il primato in numero assoluto dei nuclei familiari beneficiari.
I licenziamenti nel 2017 di lavoratori a tempo indeterminato sono stati 616 mila. Vorrei prendere atto di questi numeri senza metterli in relazione con cosa è successo prima o dopo, con il periodo di crisi maggiore o di rinascita migliore del nostro Paese; semplicemente vorrei soffermarmi sul fatto che dietro ogni numero c’è una persona.
Conosco almeno una persona che ha fatto domanda per il REI e più di una che è stata licenziata nel 2017, in applicazione delle nuove regole che hanno cancellato l’articolo 18, con lettera raccomandata a casa e con effetto immediato. Questo mi porta a ragionare su come si relazionano i due elementi fondamentali del lavoro e del reddito. Credo che siano legati indissolubilmente in una società che si definisce civile.
Il piano del ragionamento sul garantire un reddito minimo a chi è sotto la soglia di povertà va traslato, a mio avviso, su quello diverso di consentire alla persona di sviluppare le proprie abilità e il proprio ruolo all’interno della società, contribuendo, con il lavoro, al suo progresso economico e materiale, e, in questo senso, il reddito rappresenta la retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Su questo piano trovo la proposta degli economisti della Modern Money Theory sui Piani di lavoro Garantito (PLG) l’unica vera proposta da prendere in considerazione, che supera i limiti del REI e di qualsiasi altra forma che presuppone di dare assistenza ai cittadini che sono in grado di lavorare, onde toglierla senza aver risolto il problema del lavoro nella sostanza.
I PLG permettono di creare un meccanismo automatico di stabilizzazione del mercato del lavoro e dei prezzi. Il settore pubblico offre lavoro, in settori non concorrenziali con quello privato, stabilendo un salario minimo che risulterà leggermente più basso di quello pagato nel settore privato a chi, pur essendo in grado di farlo per formazione, esperienza e competenze acquisite, non è assorbito nel settore privato stesso, causa, ad esempio una fase di recessione economica. Nella fase di ripresa il lavoratore potrà essere riassorbito dal settore privato, che offrirà lavoro ad un salario maggiore, ma, nel frattempo, non sarà stato fuori dal mercato e avrà mantenuto attive attitudini ed abilità. Concetto nobile di flessibilità in entrata e in uscita e, precisazione, di lavoro transitorio nel settore pubblico. Pensiamo a chi, a seguito di licenziamento, oggi rimane inoccupato per un periodo superiore a 24 mesi. Pensiamo all’enorme bisogno di tutela del nostro patrimonio artistico, culturale e ambientale, o a quella di anziani e bambini; alla Ricerca e Sviluppo che emigrano cervelli italiani all’estero o a tutti i lavori che realizzando un interesse pubblico contribuirebbero allo sviluppo del nostro Paese, generando un meccanismo virtuoso di consumi e di equilibrio di domanda di lavoro e prezzi.
Al posto dell’espressione reddito minimo di sopravvivenza, si sostituirebbe quella di salario minimo di lavoro e a quella di disoccupazione strutturale, piena occupazione.
Non è possibile esaurire in questo articolo i dettagli della proposta dei PLG che trova importanti radici scientifiche nella letteratura economica (riferimento fondamentale I. Minsky).
Ma è evidente che i presupposti su cui si fondano sono oggi una luce accesa sul lavoro e, sul reddito, come naturale sua conseguenza.
Maria Luisa Visione