Per anni la paura dell’inflazione ha dominato il panorama economico nel timore di veder perdere il potere di acquisto della moneta, con la conseguenza di una riduzione dei salari e dei consumi. Tuttavia, oggi il paradosso è che lo spettro che si aggira è quello della deflazione: il PIL nominale, calcolato ai prezzi correnti, non cresce. I minori consumi di beni e servizi spingono le imprese a tagliare costi e investimenti. Ma se si riducono i salari e diminuiscono i posti di lavoro la domanda di beni e servizi continuerà a scendere, innescando una spirale recessiva che si avvolge su se stessa.
Così la politica monetaria di Draghi per stimolare la crescita mantenendo bassi i tassi di interesse e inondando il mercato di liquidità tramite il QE, fa tornare in mente la Banca centrale giapponese che nel 2013 avviava il programma di Quantitative and qualitative easing, con l’obiettivo di spingere l’inflazione al tasso target del 2%. E’ del maggio 2016 l’adozione di tassi di interesse negativi in Giappone, senza, però, nessun arresto della flessione dei prezzi al consumo negli ultimi tre anni. In sostanza, nonostante gli sforzi, l’effetto di un rinnovato slancio dell’economia stenta ad arrivare e proprio la banca centrale del Giappone ha annunciato recentemente l’intenzione di stabilizzare i tassi nel lungo periodo intorno allo zero. Decisione che per gli intermediari finanziari comporta ancora la riduzione dei margini di intermediazione sui prestiti e dei rendimenti sui loro asset e per i consumatori giapponesi non sembra sortire effetto, intenti negli ultimi anni a risparmiare, nonostante i bassi frutti attesi.
Il bivio tra inflazione e mancanza di domanda è complesso. Alla proposta dell’ex presidente della Federal Reserve Bernanke di incrementare la spesa pubblica o di tagliare le tasse tramite l’emissione di nuova moneta da parte della banca centrale americana, si affaccia una strada, a prima vista drastica e irrealizzabile nel noto quotidiano: cancellare il debito pubblico. Ma come?
La soluzione, contenuta nel rapporto della Società di gestione Pictet, Helicopter money: credible irresponsibility in Japan? del luglio 2016, in sintesi, propone alla banca centrale giapponese di stampare moneta per acquistare il debito governativo e di cancellarlo dopo l’acquisto, con l’effetto di: ridurre il disavanzo pubblico; migliorare il merito creditizio del Paese Giappone; stimolare investimenti e consumi privati, grazie al minor timore di un probabile aumento delle tasse.
Va detto che, da un punto di vista tecnico, la Bank of Japan sarebbe insolvente poiché le passività risulterebbero superiori alle attività. La sorpresa, però, è che, per le banche centrali avere un patrimonio negativo non è un problema, dal momento che non sono soggette ai requisiti di patrimonialità e di solvibilità obbligatori per le banche private. D’altra parte, i continui programmi di QE non possono protrarsi all’infinito e rischiano di minare il funzionamento e la credibilità delle politiche monetarie. Cancellando anche in minima parte il debito, la Bank of Japan è come se sostituisse le obbligazioni governative con un’iniezione di liquidità permanente. Un cambio di rotta e una nuova era di misure di politica monetaria non ortodosse? Certo, possibile solo, però, se c’è la volontà politica di attuarle.
Maria Luisa Visione