Non tutti i 28 Paesi aderenti all’Ue hanno adottato l’euro come moneta unica; 19 utilizzano ancora la loro valuta pur facendo parte dell’Unione. A differenza di quelli dell’Eurozona, non hanno scelto il tasso di cambio fisso. Avere un tasso di cambio fisso o variabile definisce gli obiettivi di politica monetaria; nel primo caso, le autorità predisposte devono impegnarsi per prevenire eccessi di moneta in circolazione. Affermazione che trova riscontro nel principale obiettivo dichiarato dalla BCE, responsabile della politica monetaria dell’UE: mantenere la stabilità dei prezzi.
Anche se l’Unione Monetaria è prova tangibile dell’integrazione avviata dal Trattato di Maastricht per migliorare l’economia, alcuni Paesi aderenti sono alle prese giornaliere tra alti dati di disoccupazione, bassa crescita del PIL e sistema bancario da risanare. Sintomi di una crisi reale che fa i conti con quella finanziaria. Proprio in risposta a quest’ultima, si creò nel marzo 2013 il primo pilastro dell’Unione Bancaria: il Meccanismo di Vigilanza Unico, destinato alle banche più significative, che, insieme al Meccanismo di Risoluzione Unico dell’anno successivo, trovano nella BCE l’autorità principe per la vigilanza e per la gestione della crisi del sistema bancario europeo.
Al controllo di salute oggi, però, non sono chiamati solo gli Stati con i debiti pubblici e le banche con gli stress test, ma proprio l’Europa, con la sua Unione Economica e Monetaria che rischia di disintegrarsi. Brexit, politica economica americana inattesa, ma soprattutto le marcate differenze tra i paesi all’interno, mostrano che il processo di unione è ancora incompleto e che i problemi dei singoli non sono affatto una responsabilità collettiva da voler condividere.
Il rischio politico di uscita dall’Eurozona si rafforzerà se verrà dimostrato che non equivale a una catastrofe planetaria. Illustri esponenti del Front National francese, propongono di sganciarsi, ridenominando il debito pubblico di diritto nazionale in franchi (al cambio di un franco per un euro) e lasciando quello di diritto internazionale (pari a circa il 20%), in euro.
In contrapposizione all’ipotesi francese ci sarebbe un’altra possibilità. Il Paese rinuncia all’euro e adotta una nuova valuta nazionale, decidendo, al contempo, di: ricevere le tasse solo in nuova moneta; lasciare il debito pubblico in euro e garantire totalmente i depositi in nuova valuta. Tale meccanismo consente di creare richiesta di nuova valuta, in modo da difenderne il valore, dato che, inizialmente, ne circolerà in quantità limitata. In un regime di cambi fluttuanti, il valore della valuta segue il gioco della domanda e dell’offerta; se, opportunamente governato, senza allarmismi e forzature e, con l’intervento della Banca Centrale Nazionale a sostegno, è economicamente fattibile come processo graduale di passaggio (fonte Modern Money Theory).
Di fatto le diverse velocità dell’Europa già esistono. Mentre la Germania registra nel 2016 il terzo anno da record consecutivo per l’export, la Grecia negozia con Bruxelles per la quadra sull’avanzo primario, con alla porta la minaccia dello spread.
Così tra elezioni in arrivo e rischio di anticiparne altre, l’indice Sentix Euro Break-up, segna una probabilità di rottura dell’euro di 21,3 punti percentuali. Dato ancora lontano dai 70 punti del 2012, quando Draghi intervenne in difesa dell’euro con il famoso whatever it takes.
Ma le impennate sui mercati difficilmente camminano con gli ottimisti.
Maria Luisa Visione