Non ci piace dirle le cose brutte. In questo periodo poi, figuriamoci. Abbiamo bisogno di belle notizie, di un angolo di cielo, e margini di sole. Ma le notizie, quelle scomode, quelle che proprio a pensare che se la mamma fosse viva, forse deciderebbe di ritornare indietro… quelle notizie là, per cui lo stomaco è in subbuglio, devi raccontarle, oggi più che mai.
Tra le tante categorie oltrepassate nei diritti e nelle difese economiche da questo virus, ci sono le donne.
Per loro, a leggere l’ultima memoria dell’Istat, non è andato tutto bene.
È vero, non andava alla grandissima neanche prima, ma adesso, si sono aggiunte nuove difficoltà.
L’emergenza sanitaria confluita in recessione economica ha portato il tasso di occupazione femminile al 48,4%, contro il 66,6% di quello maschile, aumentando il divario di genere per cui in Europa siamo penultimi, davanti solo alla Grecia. La spiegazione è semplice: il calo si concentra nel terziario, soprattutto nei segmenti alberghi, ristorazione e servizi domestici alle famiglie, rappresentato in particolare dalla presenza femminile.
A guardare dentro con attenzione, così da vedere perché le vulnerabilità diventano fragilità finanziaria e disagio, maggiormente colpite sono le più giovani, occupate per il 32,1%. Figlie, nipoti, mamme che in Italia si laureano in misura superiore agli uomini, non fosse solo per il vecchio stereotipo delle lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), dove le donne italiane sono ad oggi in svantaggio (il 37,3% degli uomini ha una laurea STEM contro il 16,2% delle donne).
A guardarci ancora più dentro (così non ci stupiamo di essere fanalino di coda) e ampliando lo spazio alle donne in età tra i 25 e i 49 anni, quelle con figli sono le meno occupate, soprattutto nel Mezzogiorno dove si parla solo del 34,1%. Quanto di questo numero è attribuibile alla volontà, alla libera scelta di occuparsi dei figli, di modificare abitudini e desideri per conciliare lavoro e famiglia in serenità?
Sollevo il tema perché il tempo di agire è oggi, non domani, oggi che siamo in una situazione “soffocante” che ha ampliato la mancanza di pianificazione e realizzazione di politiche sociali che prevedono sufficienti servizi per la prima infanzia, investimenti in misure sociali per la conciliazione, elasticità nell’organizzazione del lavoro delle imprese, e forse anche una ripartizione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia non più squilibrata a sfavore delle donne.
Perché a dirla tutta per fortuna c’erano i nonni, ma adesso che hai paura anche di un abbraccio, soprattutto per loro, non ci siamo stancati della carenza strutturale di servizi educativi per la prima infanzia, rispetto al potenziale bacino di utenza, soprattutto nel Mezzogiorno?
La realtà, scritta anche dall’Istat, è che spesso i servizi per alcune delle mamme e delle famiglie sono troppo costosi e l’accesso al nido è meno frequente proprio per le famiglie più disagiate, quelle che ne avrebbero più bisogno.
Adesso, in lockdown, che sia evidente o si presenti in maschera, ancora una volta sono le donne che lavorano di più in smart working, e la conciliazione tra i tempi del lavoro e i tempi della vita è diventata molto più difficile, amplificandosi con la chiusura delle scuole. Mi aspettavo come bonus il regalo di un pc, dove ce n’è solo 1, ed accade, credetemi, in molte famiglie. O magari la trasformazione dei buoni pasto, eliminati da molte aziende, in pc per la didattica a distanza o abbonamenti alla rete, o in trasformazione, in parte, di utenze, perché le bollette le paghi sempre e se stai più a casa costano di più.
Insomma, io mi aspetto ancora che il pensiero vada a tutelare l’istruzione, l’apprendimento nelle case che oggi diventano l’unico luogo di contatto e relazione dei bambini, dei ragazzi e a tutelare quelle stanze non sempre ampie e comode per tutti.
Si stima che lo shock organizzativo familiare provocato dal lockdown possa aver potenzialmente coinvolto almeno 2milioni e 900mila nuclei familiari, in cui lavorano entrambi, o un genitore.
Sono stimati, invece, in 853mila i nuclei con figli in età inferiore a 15 anni, dove l’unico genitore, o entrambi, svolgono professioni che richiedono la presenza sul luogo di lavoro, oggi rimasti senza l’aiuto dei nonni.
Infine, in 2 milioni e 47mila i nuclei in cui i genitori possono lavorare a distanza. Lì quando la disponibilità degli spazi e l’inadeguatezza degli strumenti informatici prevalgono, i possibili effetti diventano il ritardo nell’apprendimento o la potenziale minore produttività, perché vorrei capire come fai a conciliare lavoro, scuola e vita in serenità.
Potrebbe sembrare poca cosa di fronte a tutti i problemi che ci sono in questo momento. Ma, dal mio punto di vista, non lo è.
E tuttavia, abbiamo un solo tempo per cambiare, ed è oggi. Nonostante il virus, nonostante tutto.
Maria Luisa Visione