L’orientamento della BCE sui crediti deteriorati presenti nei bilanci delle banche europee è inequivocabile e consiste nell’attuare la riduzione significativa di NPL già esistenti e nell’impedirne la formazione e l’accantonamento di ulteriori.
Già nel 2013, con il Regolamento UE 1024 i compiti di vigilanza prudenziale della BCE venivano rafforzati, evidenziando un’ingerenza significativa nel governo delle banche oggi sottoposte a SREP, cioè a una procedura di stress dei dati di bilancio in uno scenario economico avverso, per rilevare la resilienza della banca a uno shock negativo, senza mettere a rischio il sistema. Sul risultato SREP si innesca poi una più ampia valutazione delle autorità di vigilanza che conduce a un dialogo singolo con ogni istituto, consistente in indicazioni specifiche sui requisiti patrimoniali qualitativi e quantitativi da rispettare e in raccomandazioni, cioè in ciò che la BCE si attende.
In tema di NPL, a luglio del 2018, la BCE aveva confermato l’approccio di intervenire, confrontando le banche europee per gruppi simili con la formulazione di aspettative di vigilanza sui relativi accantonamenti a livello, però, di singola banca. Così, a fine anno, sono arrivate le lettere. L’indirizzo per le nostre banche è aumentare i livelli di copertura dei crediti deteriorati in essere in un arco di tempo definito, in linea continuativa e complementare con le indicazioni fornite nell’Addendum alle Linee guida della BCE sui crediti deteriorati generati da aprile 2018.
Stante l’attuale quadro, proviamo a guardare gli NPL con un occhio diverso, dalla parte del mercato finanziario che rappresentano. A livello europeo si parla di circa 750 miliardi di euro (elaborazione fonte EBA dicembre 2018), dei quali il nostro Paese ne ha la quota più alta di circa il 20%. Seguono Francia (17%), Spagna (13%), Grecia (12%). Ciò che è accaduto dal 2015 ad oggi non è solo l’importante riduzione quantitativa di tali crediti, ma l’aumento della qualità dei dati statistici che il venditore può mettere a disposizione del compratore per fare una valutazione di acquisto. Inoltre, molte società si sono specializzate nel recupero di NPL e sono nate piattaforme dedite alla gestione, oltre ad esser cresciute le potenziali cartolarizzazioni. Anche se i numeri non sono ancora significativi, diventa importante, quindi, osservare le norme che verranno prodotte sulla cessione degli NPL nel mercato secondario.
Ciò che mi ha colpito in merito all’Italia, in relazione proprio all’Addendum della BCE del marzo 2018 è che, nel formulare le regole di accantonamento patrimoniale riguardo ai nuovi NPL, non c’è distinzione tra le imprese che sono in difficoltà (sofferenze), ma potrebbero recuperare una normale operatività se supportate adeguatamente e quelle ormai impossibilitate a farlo (crediti deteriorati). In pratica esistono le stesse regole di accantonamento per tutte le tipologie di credito (la distinzione non è prevista nelle definizioni armonizzate adottate ufficialmente dall’EBA nel 2014).
Ciò potrebbe comportare che finiscono nel calderone tutti, sofferenze e crediti deteriorati. Invece, si dovrebbe dare fiato a quelle imprese in difficoltà, ma recuperabili, con un piano finanziario adeguato, dando loro tempo, senza riscuotere le garanzie prestate. Circa un quarto delle imprese che entrano in stato di NPL nel nostro Paese riesce a ritornare in bonis entro 4-5 anni (intervento Angelini, Vice Capo Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia ottobre 2018).
Insomma, mentre le autorità vigilano, vigiliamo anche noi, per non perdere aziende e occupazione.
Maria Luisa Visione