Mi chiedo se veramente gli Italiani credano che ci sia stata la ripresa economica negli ultimi anni.
La mia percezione è che non ci credono. Ma al di là di ogni impressione o opinione personale, rispondo con dati alla mano di recentissima pubblicazione a firma OCSE.
L’organizzazione internazionale dichiara senza troppi giri di parole che il PIL pro capite italiano è praticamente al livello del 2000 e nettamente inferiore al picco precedente la crisi. Ma non basta, in tema lavoro, rileva che il tasso di occupazione dell’Italia si posiziona ancora tra quelli più bassi dei 57 Paesi aderenti e, soprattutto, mette in evidenza l’esistenza di bassa qualità del lavoro e di forte discordanza tra qualifica professionale e impiego svolto. Il bollettino di guerra continua con tassi di povertà assoluta in aumento per i giovani che non vedono altra scelta se non emigrare e poca parte delle prestazioni sociali (escluso le pensioni) versata a chi davvero ha bisogno.
Per non parlare del tema ambientale di cui il dibattito è sempre più acceso e diretto verso la parola sostenibilità. In pratica, lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili è in stallo dal 2015, abbiamo generalmente tassi elevati di inquinamento atmosferico, lacune della pubblica amministrazione e conseguenti irregolarità nella raccolta e nel trattamento dei rifiuti, nonché carenze nella gestione dei rischi idrogeologici. Mi fermo qui perché non so voi, ma io che mi occupo da tutta la vita di economia, per amore della verità, nel riportare le cose come sono, mi sembra di non dar mai buone notizie. L’altro aspetto è che come italiana non sono per niente felice del fatto che quando si parla di noi sembriamo un popolo che ha dimenticato le glorie dell’antica Roma e di essere stati negli anni ’90 una potenza industriale davanti a Francia e Gran Bretagna.
Un giovane di 20 anni come fa a ricordarlo? Ogni volta che si avvicina il DEF e le scadenze della legge di bilancio siamo alle solite, con decimali di deficit che non tornano e la minaccia dell’aumento IVA alle porte per far quadrare i conti. Quale Italia ha come punto di riferimento oggi un giovane se non quella che documenta l’OCSE?
C’è poi la ricetta infallibile, citerò raccomandazioni ricorrenti. Occorrono: riforme strutturali pluriennali; realizzare un piano di bilancio credibile a medio termine nel quadro del Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione Europea e quindi riduzione del rapporto debito/PIL; rendere il sistema giudiziario più efficiente; riformare le banche popolari e cooperative; abrogare le ultime modifiche di anticipo pensionistico; creare maggiore concorrenza nei servizi professionali e nei servizi pubblici locali; intervenire con misure di reddito minimo ma con moderazione sostenendolo con programmi di formazione e di ricerca del lavoro nel sistema privato; ristrutturare le attività di gestione dei rifiuti delle amministrazioni locali.
Almeno dal 2011 le ricette sono sempre le stesse, ma non sono mai sufficienti. Nessuna riforma lo sarà se non ha l’effetto di aumentare i soldi in circolazione. E non mi dite che troppi soldi significano inflazione. Con questa storia dell’inflazione sotto il 2% perfettamente riuscita, abbiamo livelli di povertà e disoccupazione incivili. Mentre esportiamo giovani talenti straordinari e importiamo deflazione salariale.
Alla fine l’unica verità è che i numeri non mentono mai.
Maria Luisa Visione