Mentre le scadenze elettorali si susseguono tra previsioni ancora incerte, anche il termine del Quantitative Easing di Draghi, si affaccia all’orizzonte e con esso si ripropone la domanda: senza il sostegno all’economia e il “Whatever it takes”, cioè “qualsiasi cosa per salvare l’euro”, cosa ne sarà della sorte dei titoli pubblici nazionali?
La questione è talmente complessa che esiste un Organismo, l’European Systemic Risk Board (ESRB), che ha proprio il compito di prevenire i rischi nel sistema finanziario dell’Eurozona. Rischi sistemici, appunto.
Due crisi importanti del debito sovrano caratterizzano il recente passato: quella del 2010 e quella del 2011-12. La storia racconta il presente e fa emergere il legame imprescindibile tra economia e politica. Quella di tale crisi riceve una rivisitazione che spunta nel sito della BCE, tra i Warking paper series di maggio. Una ricerca che subito riceve attenzione dai media, poiché afferma che “nessuno dei rendimenti sovrani è isolato da shock stranieri e che gli shock al mercato dei Titoli di Stato greci nel 2010, determinati dall’aumento dei rendimenti, spiegano il 20-30% della varianza di rendimenti dei titoli sovrani nei paesi stressati (Portogallo, Italia, Spagna. Irlanda). Nella crisi del 2011-2012, invece, l’Italia (non la Spagna) è stata la fonte di rischio sistemico”.
I giorni in cui i nostri Titoli di Stato schizzarono li ricordiamo tutti; sono i giorni della consapevolezza di dover fare i conti con la solvibilità del Paese Italia. Nello studio citato viene confermata, però, a mio avviso, la potenza dell’impatto che l’Italia può generare sugli altri Paesi. I ricercatori affermano, infatti, che durante il periodo maggio 2011-febbraio 2012, lo shock di 100 punti base dei rendimenti sovrani italiani implica un aumento dei rendimenti sovrani spagnoli di 55 punti base, e, dopo 20 giorni, un aumento dei rendimenti sovrani greci e portoghesi, rispettivamente di 150 e 40 punti base.
L’eventuale fallimento di uno Stato, possibile perché non ha sovranità monetaria, non lascia indenne il sistema bancario e, di conseguenza, cittadini e imprese. Quello che mi chiedo è se rispetto ad allora le nostre banche siano meno esposte al rischio sovrano. E la risposta è no. Nulla è cambiato, nonostante la riforma pensionistica di Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione e tutti gli altri interventi che mirano a renderci un Paese virtuoso all’interno dell’Eurozona.
Nel frattempo, Standard & Poor’s ha confermato il rating BBB- dell’Italia, con prospettive stabili. Siamo cioè al rating Investment Grade più basso. Come sottolinea l’agenzia, il giudizio riflette l’aspettativa della continuità del nostro governo nel voler adottare riforme strutturali, mantenendo nel contempo un rapporto debito/PIL stabile; tuttavia, sottolinea Standard & Poor, non bisogna sottovalutare il rischio di possibili elezioni anticipate.
Insomma, anche se per alcuni lo studio sulla crisi del debito sovrano ci fa apparire come Paese portatore di contagio, al pari della Grecia, a mio avviso, dovremmo riflettere sul fatto che, all’interno dell’Eurozona, per come è costruita, il rischio sistemico impatta prima sui più fragili.
Ma alla fine non lascerà indenne nessuno, neanche i più forti.
Maria Luisa Visione
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