Ieri a 55 anni potevamo iniziare a prepararci per la pensione. Oggi, invece no. Gli effetti delle ultime riforme sono diventati assolutamente visibili, con l’allungamento dell’età pensionabile, e, di conseguenza, con il ciclo di vita economico spostato in avanti, come certificato dalle ultime tabelle Eurostat.
La demografia si muove e rimette tutto in discussione: tempi, modalità, accumuli e de-cumuli di risparmio, tanto che è proprio in questo momento della vita che si registra un aumento dell’occupazione. Per la precisione, in Italia, nel 2021, lavoravano in più rispetto a 10 anni prima, il 15,9% di persone tra i 55 e i 64 anni.
Di contro e a sostegno di come il capitale umano contribuisca in maniera diversa rispetto ai nostri nonni, ma anche ai nostri genitori a far accrescere le risorse economiche necessarie per realizzare i progetti di vita e soddisfare le esigenze finanziarie, il dato degli occupati più giovani è in diminuzione di quasi un milione di persone nella fascia tra i 15 e i 34 anni, tra il 2011 e il 2020. Mentre, tornando indietro al 2001, sempre nella fascia più giovane dei lavoratori, troviamo oltre 3 milioni di occupati in più.
Certo, hanno influito la più alta scolarizzazione e il regresso del lavoro minorile, ma l’elemento di riflessione, dal punto di vista dell’educazione finanziaria dei giovani, è riuscire a capire come supportarli nell’immaginare, nel progettare una vita in avanti, che parli di futuro e che non debba cominciare necessariamente dopo i 35 anni.
C’è un equilibrio tra le generazioni del quale parliamo poco, che dovrebbe far pensare a un giovane in cerca di prima occupazione di avere le stesse opportunità di crescita e realizzazione professionale delle generazioni precedenti. Perché da ciò dipendono poi le proiezioni delle tutele che restituisce il reddito da lavoro, nel presente e nel futuro.
Così come in ogni scuola, di ogni città, bisognerebbe inserire programmi di educazione finanziaria, dando dignità a una materia così cruciale per affrontare il contesto complesso in cui viviamo, costruendo una cultura del denaro diversa da quella che spesso ci circonda, a partire dalle elementari, come avviene in molti Paesi del mondo. Luoghi in cui si crede che l’idea, il pensiero, la strategia non debbano dipendere esclusivamente dai soldi che possediamo e che questi fattori vadano coltivati per sviluppare il capitale umano dell’individuo. Luoghi in cui si pensa che il capitale umano vale di più della materialità.
Non ho mai condiviso il pensiero che tutto dipenda sempre dagli altri, dall’esterno, ma ho sempre pensato che solo partendo da noi stessi possiamo seminare le migliori opportunità. Non aspettando che venga il salvatore, che poi non viene mai, ma chiedendoci cosa vogliamo fare per non essere spettatori, ma protagonisti.
È così che ho interpretato “La felicità economica” un libro che avete letto in tantissimi, per il quale vi ringrazierò sempre di aver compreso il mio punto di vista e la mia eterna voglia di ribaltare con razionalità e metodo i preconcetti sulla finanza personale e sull’economia che appartengono anche a questa epoca.
In questa direzione il giovane che comincia a pensare di lavorare con una minima stabilità dopo i 35 anni, ha imparato, magari a 16, il valore del denaro dei sacrifici dei suoi genitori e non risparmia perché ha un reddito elevato, ma perché utilizza il denaro in funzione dei suoi sogni.
E, soprattutto, sogna!
Maria Luisa Visione