Economia

L’Italia malinconica dell’ultimo Rapporto Censis: dove siamo e quale modello economico-sociale vogliamo?

Dove siamo? È uno degli interrogativi dell’Ultimo Rapporto Censis, appena pubblicato, che racconta un’Italia diversa, profondamente cambiata, che trasuda di malinconia.

È un interrogativo che pongo sempre alle persone per aiutarle a costruire benessere finanziario, perché è il punto di partenza capire in che fase della nostra vita ci troviamo e quali comportamenti utili adottare per realizzare ciò che conta per noi. Alle spalle abbiamo tre anni complicati, con i segni di una pandemia perdurante, della guerra alle porte dell’Europa, dell’alta inflazione, della morsa energetica; eventi che parlano di nuovi rischi, di uno sviluppo bloccato, di un mondo diverso da ieri, in cui emerge la paura di avere esiti negativi dalla globalizzazione.

Le misure di rincorsa per un’emergenza che si ricompone in continuazione non rassicurano abbastanza e, il far da sé, la capacità di adattarsi e trovare una soluzione, di per sé non riesce più a dare le risposte concrete che servono.

Il quadro d’insieme del Rapporto Censis consegna per il 92,7% degli Italiani la convinzione di un’inflazione che durerà a lungo; il 76,4% è convinto che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari nel 2023; il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà nei prossimi mesi; il 64,4% sta attingendo ai risparmi per fronteggiare l’aumento dei prezzi. In questo clima aumentano i dissapori e le persone non sopportano più l’eccessivo divario tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei manager, né le tasse ridottissime pagate dai giganti del web; tantomeno gli eccessi e gli sprechi per le feste delle celebrities, piuttosto che l’ostentazione di spese stratosferiche per ristoranti, hotel, locali notturni, o l’esibizione sui social network di vacanze e viaggi di gran lusso. E la lista di ciò che diventa insopportabile nella disuguaglianza che si allarga si allunga, mettendo in risalto differenze che pesano: di sacrifici in questi tre anni ne sono stati fatti tantissimi dalla maggior parte delle persone che non fa parte dei ricchi paperoni.

Come si legge nel Rapporto, “Di fronte a questo nuovo contesto, le insopportabilità sociali non possono essere frettolosamente liquidate con l’epiteto populiste”. Di fatto, le disuguaglianze sociali aumentano, emergono e chiedono di essere risolte, perché si avverte che il proprio benessere è messo a repentaglio.

Non so se sarete d’accordo con il bilancio del Rapporto di una tristezza profonda per l’89,7% degli Italiani, seguita dalla forte tentazione di restare passivi, senza prendere iniziative, blindandosi nel privato (54,1%).

Una malinconia che fa confrontare i limiti dell’uomo con gli eventi del mondo e che butta fuori tutte le vulnerabilità di un Paese che invecchia costantemente, di una popolazione attiva che si riduce, di un livello di istruzione che arretra e di giovani che non studiano e non lavorano, di cui abbiamo il primato in Europa.

Altre vulnerabilità vengono evidenziate, in tema di sanità e di Welfare assistenziale, ma non sono una novità: il 53% degli italiani teme il rischio di non autosufficienza e l’invalidità, e il 47,7% non è sicuro di poter contare su redditi sufficienti in vecchiaia, insieme alla paura di impoverirsi, alimentata dall’inflazione in aumento.

L’interrogativo che voglio sollevare è: “Quale modello economico-sociale vogliamo?” 

È tempo di riflettere profondamente, partendo da dove siamo oggi per averne consapevolezza.

Maria Luisa Visione

Francesco Laezza

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