Sembra quasi strano apprendere che i fondi statali utilizzati in Italia in soccorso alle banche in difficoltà siano quattro volte meno della media europea, in cifre l’1,3% del PIL.
Ci avviciniamo a ridurre la consistenza dei crediti deteriorati netti nei bilanci bancari portandoli a un terzo in meno rispetto al massimo del 2015.
Il giusto requisito, in termini quantitativi, introdotto a livello europeo come garanzia che un intermediario, in caso di risoluzione, disponga delle necessarie risorse, fondi propri e passività soggette a bail-in per l’assorbimento delle perdite e la ricapitalizzazione, il cosiddetto Minimum Requirement for Eligible Liabilities, o MREL, è in direttiva di accordo sui tavoli europei. Ma la sua imminente introduzione potrebbe portare diversi intermediari bancari a sostenere un rialzo del costo medio della raccolta, con la necessità di nuove ingenti emissioni obbligazionarie da collocare, e, contestualmente, una minore disponibilità di credito bancario per l’economia reale.
Intanto, manca l’assicurazione unica dei depositi a completare l’Unione bancaria, acronimo EDIS, sulla quale il dibattito si è mosso tra la necessità di ridurli drasticamente e quella di condividerli. Come non essere d’accordo che se li riduciamo prima i rischi, ne condividiamo meno?
Sui crediti deteriorati la nostra previsione per il triennio 2018-2020 secondo Banca d’Italia, è rosea, si parla del 38% in meno, quindi, promossi: meno crediti deteriorati, meno rischi.
L’altro aspetto riguarda, invece, il possesso di titoli di Stato da parte degli intermediari finanziari. Esiste un legame cioè tra banche e Stato che dipende dall’impatto sull’economia reale che una crisi del debito sovrano potrebbe avere sui bilanci delle banche, sulla base dell’ammontare dei titoli di Stato da esse detenuti in portafoglio. Su questo fronte abbiamo assistito a una diminuzione progressiva e sostenuta dell’esposizione delle banche italiane tradizionali nei confronti del settore pubblico.
Proprio il legame tra debito pubblico e crisi rafforza l’idea della Commissione europea di strumenti cartolarizzati che raggruppino titoli di Stato dei diversi Paesi della zona euro, a tutela dei bilanci creditizi.
L’attenzione allo spread di questi giorni non può non indurci a vedere come il completamento dell’Unione bancaria europea, sia il tassello chiave, il tavolo sul quale si gioca davvero.
In pratica il percorso è tracciato: condivisione del rischio di credito attraverso i mercati finanziari e la stabilizzazione di bilancio grazie all’Unione bancaria.
In sostanza io penso che, indipendentemente da quale governo ci guiderà, l’Unione bancaria sarà un po’ come la legge Fornero. Andrà fatta in tutti i modi, quindi, accelereremo sulla dismissione dei crediti deteriorati; le banche italiane continueranno a diminuire i titoli di Stato in portafoglio; saranno emesse nuove obbligazioni subordinate per il rafforzamento dei coefficienti di bail-in e si troverà la strada per attivare l’assicurazione sui depositi europea, nell’attesa che i contributi delle banche europee finanzino il Fondo di risoluzione unico.
“L’unione bancaria rappresenta un passo importante verso un’autentica Unione economica e monetaria”, si legge sul sito della BCE. Ciò che resta ancora da vedere è se ci sarà la volontà politica di realizzarla.
Maria Luisa Visione