Non è mica semplice spiegare ai nostri figli come funziona il mondo delle pensioni. Loro ragionano in modo lineare e con tutto quello che sentono non riescono proprio a capire perché se uno va a lavoro, si debba augurare che ci sarà qualcuno domani che lavori per lui, affinché possa ricevere la sua pensione. L’ultima vignetta che mi ha mostrato Alice di 16 anni, titolava “In pensione a 70 anni”, e, incredula, mi ha chiesto: “Ma tu a che età ci vai?”.
Da una parte, però, bisogna cominciare, perché di fronte ai loro sogni, non possiamo esimerci di rimanere leali. Allora, ho deciso di partire dal patto generazionale.
Vedi Alice, un po’ di tempo fa, prima della seconda guerra mondiale il sistema che consentiva di pagare le pensioni si chiamava “sistema a capitalizzazione”. Chi lavorava versava una parte del suo reddito in una gestione, in modo che, al momento di ritirarsi dal lavoro, avrebbe raccolto il frutto dei suoi contributi.
Mi sembra giusto e cosa è successo dopo?
L’inflazione arrivò alle stelle e d’improvviso tutti i soldi dei lavoratori versati in gestione persero il loro valore. Così lo Stato pensò di dover trovare una soluzione per non vanificare il sacrificio di coloro che avevano già versato e di chi era già in pensione. E il sistema pensionistico divenne a ripartizione.
Ho capito, ma dove hanno preso i soldi per chi era già in pensione?
Semplice: con i versamenti dei “nuovi lavoratori” si finanziavano le pensioni dei “vecchi lavoratori”.
E quindi i contributi di chi lavorava non venivano messi da parte per lui?
Esattamente, fu fatto un patto tra le generazioni, che ancora oggi è in vigore.
Quindi vuoi dire che quando andrò a lavorare i miei contributi pagheranno la tua pensione? E che il nonno riscuote se tu lavori? Babbo avete proprio fiducia in noi giovani; se ho capito bene il meccanismo funziona se il numero degli occupati è uguale a quello dei pensionati. Ma al telegiornale dicono sempre che noi italiani facciamo pochi figli e che non c’è lavoro per i giovani. Che siamo un popolo di anziani.
Hai capito benissimo, ci sono eventi demografici e cambiamenti sociali in corso che rimettono tutto in discussione. Ma c’è un’altra particolarità che devi comprendere e riguarda il metodo con cui viene calcolato l’assegno che riceve il nonno. Il nostro sistema pensionistico è di tipo contributivo (oltre ad essere a ripartizione). Significa che tutti domani avranno indietro quanto hanno effettivamente versato oggi. Ma non è stato sempre così. Fino al 1995 l’assegno veniva calcolato per tutti sulla base dello stipendio degli ultimi anni, che spesso era più favorevole, ma non era quanto incassato realmente per tutto il periodo lavorativo. E questo ha creato nel tempo una differenza tra quello che entrava nelle casse dello Stato con i contributi e quanto usciva per pagare le pensioni, che però, sai, vengono date per un tempo più lungo, perché viviamo di più. Siamo longevi! Poi gradualmente fino al 2011 sono state introdotte nuove norme per riequilibrare le cose. E proprio dopo il 2011 si è fatto in modo che tutti andassero in pensione alla stessa età, prima a 66 anni, ora a 67, domani se si vive di più, più tardi.
D’accordo, ma non mi torna lo stesso, io vorrei andare prima in pensione perché così misà che la vignetta c’ha ragione. Magari cominciare a lavorare subito dopo la laurea e poi, se sarò longeva, mica significa che devo passare tutto il tempo a lavorare. Vedi babbo a me che se tu non lavori per versare i contributi, il nonno non incassa l’assegno, non mi sembra un grande patto.
Insomma, cerca di non risponderle ad Alice che non ha tutti i torti.
Maria Luisa Visione