Le criptovalute sono ormai entrate nel patrimonio degli Italiani.
Una diffusione in costante aumento che ha, secondo i dati emersi da una recente ricerca dell’Osservatorio Blockchain and Web3 della School of Management del Politecnico di Milano raggiunto i portafogli di circa 3,6 milioni di persone.
Sorge, dunque, un interrogativo importante a cui rispondere: Come vanno dichiarate al fisco affinché l’Agenzia delle Entrate effettui il monitoraggio e il contribuente sia in linea e coerente con le regole stabilite sulla tassazione?
Al pari di altri strumenti finanziari le criptovalute possono generare plusvalenze e/o minusvalenze, in base alle negoziazioni effettuate, durante gli acquisti e le vendite. È necessario che l’eventuale guadagno generato dalla differenza positiva tra il valore di vendita e il costo di acquisto venga documentato. Mentre, quando si verifica una differenza negativa, si genererà una minusvalenza che potrà essere compensata con la plusvalenza, riducendo l’imposta complessiva da versare al fisco per il guadagno realizzato in conto capitale.
In sostanza, la plusvalenza realizzata dalla differenza tra prezzo di vendita e costo di acquisto è soggetto a tassazione in molti paesi e viene considerata una forma di reddito o di guadagno finanziario da dichiarare.
Inoltre, attraverso il processo di “staking” si può generare guadagno passivo. Si tratta di un processo che coinvolge i membri di una rete che ottengono premi per bloccare le proprie valute virtuali nei portafogli wallet con la finalità di convalidare le transazioni della rete o di offrire liquidità ad altri.
La detenzione di criptovalute, sia diretta che indiretta, cioè anche quando se ne ha il controllo effettivo pur non essendo proprietari, va dichiarata obbligatoriamente ogni anno al fisco nel modello della dichiarazione dei redditi. Precisamente nella sezione chiamata Quadro RW insieme a tutte le altre forme di cripto attività detenute tramite portafogli, conti digitali o altri sistemi di archiviazione, in quanto potenzialmente tali strumenti possono generare redditi tassabili in Italia.
L’obbligo fiscale vale sempre, per tutti i soggetti, indipendentemente da come le valute virtuali vengono archiviate o conservate, e sia per quelle detenute in Italia che per quelle detenute all’estero.
L’omessa dichiarazione delle criptovalute determina sanzioni?
Per l’Agenzia delle Entrate tale asset finanziario è considerato valuta estera, quindi, chiediamo supporto al commercialista per non commettere errori. Teniamo presenti due semplici regole: 1. Nel quadro RW occorre indicare il costo di acquisto in euro e il valore che le criptovalute avranno alla fine dell’anno, e pertanto chiedere la certificazione all’intermediario presso cui si detiene il portafoglio wallet; 2. Nel quadro RT vanno dichiarate plusvalenze e minusvalenze.
Attenzione, non sono considerati fiscalmente rilevanti nel periodo di imposta di riferimento, i proventi finanziari complessivi quando sono inferiori a 2.000 euro. Diversamente sulle plusvalenze che superano, dal 1° gennaio 2023 la cessione delle cripto-attività è soggetta ad un’imposta sostitutiva del 26%. L’imposta di bollo del 2 per mille stabilita per tutte le attività finanziarie in portafoglio non va versata se è stata già onorata dall’intermediario.
Eccoci adesso alle sanzioni stabilite per il 2024: la mancata dichiarazione delle criptovalute nel quadro RW può comportare una sanzione dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati, che sarà applicata in base alla gravità della violazione e alla quantità di valute virtuali emessa. Se, poi, il portafoglio wallet non dichiarato si trova in un Paese Black list, la sanzione può variare dal 6% al 30%.
Sapere è dovere.
Maria Luisa Visione